Il merletto e la passione di Paulo Fambri

Per capire quanta passione e risorse economiche, abbia dedicato Paolo Fambri per far rivivere la lavorazione del merletto nelle isole veneziane basta leggere i suoi scritti, che rimarranno negli annali della storia, come un tatuaggio indelebile. Aggiungere altre parole sarebbe inutile, la sua grinta traspare in tutto il suo “sentire”.

LA STORIA DELLA CONQUISTA DI DUE MEDAGLIE D' ORO,

(I Merletti di Venezia 1878),  Fambri e S.

 

 

Tre mesi fa, il capitano cav. Luigi Chiala, l'egregio storico della campagna del 1866 e già direttore della Rivista militare ,pubblicava in occasione di nozze in casa Voghera, un volume d'importantissimi scritti inediti ch'egli teneva da uomini di gran conto, coi' quali era stato in amichevole corrispondenza durante la sua carriera lunga e onorata. Tra le pagine di tale volume intitolato Nuptialia e stampato a Roma nel tempo che abbiamo detto, trovasi una lettera del Fambri, che Domenico Berti e Luigi Luzzati, per nominare due giudici soli, chiamarono un vero gioiello. L'argomento affatto economico venne trattato altre volte nelle pagine di questa Rivista, la quale riprodusse, tre anni fa, fra l’altre una lunga risposta del Fambri stesso ed alcuni appunti del prof. Toniolo sul richiamo dei merletti veneziani alla vita dell'arte e degli scambi. Il Fambri in questa materia mostrò una forza di volontà che tocca la pertinaccia, ed un coraggio di annegazione che, come ben dice la Gazzetta di Venezia, non ha riscontro nella storia industriale di nessun centro di produzione.

 

 

Estraneo in tutto alla parte tecnica e industriale, aiutato da pochissimi fidi, deluso anzi tradito proprio allora che si sforzava a combattere, egli non volle dare un passo  indietro ed abbandonare le due mila donne che amò... son sue parole. Il Fambri, come è noto, scherza anche nei più cattivi passi.

Oggi per altro i passi sono tutť altro che cattivi, sebbene un anno fa fossero tali, addirittura terribili. Ma non anticipiamo, ecco la lettera.

 

Carissimo Chiala,

Chi mai potrebbe, mi dicevate qualche settimana fa, indovinare in voi il gentile (Dio vi perdoni l'epiteto, io nol farò mai), dico, il gentile produttore dei merletti cosi ammirati ora a Parigi? Non c'è mai stata interrogazione al mondo (neanche, sto per dire, quella recente del mio Gabelli) più legittima di questa.

Infatti, alla naturale spiccatissima contraddizione che passa sempre tra la persona nonché il fare mio, e tutto ciò che si presenti in qualche modo tenue, elegante, o, per dirla in una parola, carino, come se non fosse già troppa, s' aggiungeva in quel momento il più brusco e stridente rincaro. Mi ricorda che venivo giusto allora da certi miei lavori di un tre chilometri fuori porta, rudemente insaccato, più rudemente stivalato e grigio di polvere peggio che ď anni, avendone inoltre, non che il resto, tutta impiastricciata la faccia salvo tre o quattro righe le quali scendevano, inesausti ruscelli di onorato finché si vuole ma noioso sudore, giù dalle tempie al collo.

Eppure, riconoscibile o no, indovinabile o no, ero quel desso.

Io so che a parecchi amici vostri, e forse amiche, e' par mill'anni di penetrare il mistero di codesto giuoco di flagranti contrasti. É vero che se ci fu un Dio il quale, secondo le sacre carte, si divertiva a suscitare gli stolti per confondere i sapienti, ci può anche per la stessa ragione essere stata una Dea tentata di servirsi ď una incarnata e membruta negazione del gusto a risurrezione per l'appunto di esso. Però, dato cotesto tiro d'onnipotenza, la curiosità loro di conoscerne le vie e gli andamenti non poteva, lo capisco, non rimanerne ancora più stuzzicata. Nè a voi era certo dato di soddisfarla, chè, quante volte ci s'è incontrati noi altri, i discorsi s' aggirarono sempre intorno alle cose di Marte, senza che a Venere sua venisse mai fatta la più lontana allusione.

Ebbene, dacché a Parigi un po' se ne occupano e il grido arriva nientemeno che da Folchetto, eccomi a dirvene succinto ma preciso ogni cosa, e fiat lux.

Voi ricordate senza dubbio che or fanno sei anni ero deputato del secondo collegio di Venezia - una specie di propheta in patria in onta al dettato, il quale però volle avere ragione, tanto che la cosa ebbe da ultimo a finire col mio capitombolo. Ma ciò non rileva. Allora c'ero, e un bel mattino feci vela con alcuni amici, fra i quali il Pisani, per Burano, una sezione del collegio non solo staccata ma insulare, della cui squallidissima miseria, risalente ad anni immemorabili, non saprebbe formarsi un'idea chi non l'abbia veduta cogli occhi propri. E il vederla fece a tutti noi un gran male al cuore. Sapevamo, ma non ci aspettavamo lo strazio a quel punto.

Dopo le prime glose, si cominciò, il Pisani, io, il parroco, il sindaco, e due o tre notabili del posto, a ragionare sul come tentare un principio di rimedio.

- Non lavorano dunque per niente ? chiedevo.

- Pescano, rispondeva il sindaco, come il tempo permette.

- Coltivano anche le vigne, aggiungeva il parroco, ma di terra ce n' è così poca !

- E le donne?

- Badano alla casa, a' bimbi !

- La casa ? bella spiegazione - se la maggior parte debbono anzi uscire di casa perchè non ci si vede ! quanto ai bimbi che cosa fanno loro ? - lavarli no, che di acqua ce n'è appena da bere; vestirli nemmeno, che sono a zonzo ignudi nati...

Una volta però, seguitavo tristamente, qui si lavorava; c’erano industrie famose.

- Altro che famose ! mi si rispondeva in coro, i merletti e i cappelli di trucciolo, i quali sul cadere del secolo scorso si vendevano a tre, a quattro e fino a dieci zecchini. Capisce che prezzi, e a quei tempi lì!

- Ebbene, saltai su interrompendo tentiamo qualcosa incominciando dagli uomini. I panama oggi non vanno essi da cinque fino a trecento lire? C’è chi paga anche oggi. Rifacciamoci un po' cappellai.

- Neanche discorrerne, ci fu subito replicato. Sul principio del secolo l' industria fina cessò, l’ordinaria tirò innanzi ancora qualche anno, poi decadde affatto, e gli ultimi operai emigrarono su quel di Modena, senza che dopo se ne sapesse mai più nulla.

- Faremo delle ricerche. E i merletti?

- Anche lì finito tutto. Morte tutte!

- Davvero tutte?

- Meno una; la Cencia Scarpariola già settuagenaria e che non ci vede più....

- Vediamola noi. . . subito. - Io son sempre pel subito.

Andarono a scovarla e me la condussero. Una vecchietta pulita ed arzilla, sulle prime alquanto confusa di trovarsi innanzi a dei grandi personaggi, secondo lei, ma ben tosto orientata e precisa nelle risposte.

Io fui l' interrogatore :

- Ebbene, buona donna, non potete più lavorare ?

- Non ce n'è da lavorare, signore. Poco, ma pur qualche cosa ancora potrei.

- Dunque ci vedete ?

- Sissignore! mi stanco presto, ma tanto. . . magari ce ne fosse un po'del lavoro.

- Vi pigliereste l'impegno di insegnare a delle bambine?

- Bambine? Oh no; si figuri! se fosse delle fanciulle. . .

Ella aveva mille ragioni. Io venivo allora allora di Toscana dove così bambinescamente i figli si chiaman bimbi fino a diciott'anni, nè questa dev' essere l' ultima delle ragioni per la quale il senno non si può dire che anticipi...

- Dunque delle fanciulle sì? ripigliavo correggendomi.

Grandette, sissignore ; per quel poco che so, veda, perché non sono stata mai delle brave.

-Insomma vi impegnate!

- A'suoi comandi.

- E sta bene. I comandi vedrete che non si faranno molto aspettare. -

Io m'ero già fatto in testa il disegno d'un potente anzi prepotente appello al mio pubblico.

Tornato appena a Venezia, misi fuori per le stampe un letterone al mio amico D. Fadiga, direttore allora del Rinnovamento, con descrizioni, perorazioni e un primo obolo. Carlo Pisani e il Fadiga lascia fare a loro, giù il secondo e il terzo accompagnati da altre descrizioni ed eccitamenti. Ed io, a ribattere il ferro fin che era caldo, giù un discorso in pubblico, poi un secondo, e i giornali a tenermi più o meno bordone. Non c'è mica altro da fare che così. Il clarino gorgheggia, il violino parla e canta, il violoncello piange e fa piangere, eppure io ho veduto gente, anche per bene, a dormire a musiche di paradiso. Non c' è proprio altro che la gran cassa la quale valga a scotare per davvero e mantenga desti. E sel sanno i timpani e le tasche del prossimo se l'ho battuta!

Le sottoscrizioni fioccarono tosto dall'universo ed altri siti.

Qui la designazione famosa del Dulcamara torna a capello, conciossiachè il suono dello stromento sullodato giungesse niente meno che fino al soglio di Pio IX, e parecchie, dico parecchie, migliaia di lire scendessero dalle case Vaticane, alle quali, come cosa a cavaliere tra il reale e il trascendente, l’altri siti rimane la più applicabile espressione del mondo. Però quei danari furono volti ad altre istituzioni. Messi ad ogni modo insieme discreti mezzi materiali, mi detti attorno pei morali. Affari di ragazze bisognava naturalmente finire per metterli in mano a delle signore, buone, intelligenti, ricche, alto locate, possibilmente anche belle.» Fu allora che mi rivolsi con due lettere piene di rispettosa audacia e coronata, in ordine al mio fine, dal più lusinghiero successo, prima alla contessa Andriana Zon-Marcello, indi alla principessa Maria Chigi Giovanelli.

La scuola cominciò con sei ragazze, ben tosto divenute dodici, poi ventiquattro, salendo poi gradualmente alle due per avviarsi alle trecento.

Da una stanzettina di forse cinque metri per quattro, si passò a una maggiore al pianterreno, poi al primo piano in una sala molto chiara, ampia e fin ricca per Burano. La giovane signora D' Este-Bellorio, maestra comunale, fu tra le prime scolare della Cencia, e in due mesi divenne una perfetta maestra dell'arte.

La cosa cominciò a camminare. Le spese di scuola, di sussidi, materiale ed altro crescevano e ci si sopperiva fra le due illustri patronesse e me. Quanto poi al lavoro d'iniziativa promozione, protezione, sorveglianza tecnica, amministrativa, disciplinare; ecc. si devenne fra noi tre a un patto di divisione di lavoro, ed ecco come: Considerate le frequenti assenze da Venezia della principessa da una parte, e dell' ingegnere dall'altra, essi due membri imposero, come maggioranza, una deliberazione del seguente tenore: «In nome ecc., abbiamo decretato e decretiamo che il lavoro sarà d'ora innanzi diviso fra noi nella seguente maniera ; la contessa Andriana Marcello farà tutto, e noi altri due faremo il resto.»

La deliberazione era tanto più giusta che la plenipotenziaria possedeva già l'arte per principii e non tardava in appresso a farci l'occhio e la mano alla tecnica.

Le fanciulle venivano su di numero e di capacità, la maestra ď Este, il sindaco Pitteri, il parroco aiutavano intelligenti assidui e concordi. Arrivava già il momento di prendere o, per dir meglio, di cercare delle commissioni. Le prime partirono, e splendide, dall' allora Principessa, ora Regina Margherita, la quale accettò inoltre la presidenza dell'istituzione e le fece quell' infinito bene morale e materiale che fa a tutto quello che vede e tocca.

E sempre avanti !

Occorse anticipare parecchio. Ci si tassò ancora fra noi tre; poi si prese dentro il circolo dell'infaticabile ed egemonica patronessa, e in giorni, direi quasi in ore, si messero insieme, fra tutti (una serqua e mezza di amici) da otto a diecimila lire.
Cosi le cose procedettero, e procedono tanto che la scuola oramai basta a sè stessa, anzi ci ha un tanto di avanzo, quest'anno, meglio di 3000 lire. C'è da giurare pertanto che nel 1978, grandi o piccini, in pietra d'Istria, terracotta o, a peggio andare, in gesso, tre busti, erme, medaglioni o altro delle prelodate sublimi dame e dell' umile sottoscritto in qualche posto insigne dell'isola si troveranno.

Questa dunque di Burano è ormai una ciambella riuscita col buco, e non accade discorrerne più a lungo che la parrebbe una cosa fatta per lodarsi, la quale del resto avrebbe la sua ragione e il suo pregio come una delle tanto poche che quaggiù si facciano di vero cuore.
Se non che Burano non fu, industrialmente parlando che la vanguardia di Pellestrina, ed:

Ora incomincian le dolenti note.

Prima di passare innanzi, m'occorre spiegarvi a che altro si passi, affinchè vi siano ben conosciute le distinzioni e condizioni dell'industria!
Avete a sapere che le trine sono trine, cioè di tre specie
- ad ago - a fuselli - a macchina.
I primi onori vanno all'ago. Attento alla tecnica ! Sopra una striscia di pergamena, o carta si forte e duttile da surrogarla meno imperfettamente, si disegna il merletto da porre in lavoro.
Tale striscia è il fondo mobile, le cui linee guidano l'ago finissimo della merlettaia. Essa col suo filo meno che capillare segue le curve, empie i vani e lega tra loro i fiori, le frutta le figure, tutte infine le parti per mezzo delle
gambe, chè così si chiamano certe strisciettine di collegamento, ovvero d'un fondo più o meno fitto sul quale i detti ornamenti campeggiano, ed ai quali la giovane industre mette poi i rilievi che le sono imposti dal modello o consigliati dal gusto.

Il lavoro ad ago non chiede aiuti materiali di sorta alcuna. L' operaia, come l'ora avanzi o il punto si renda eccessivamente delicato, lascia il mezzo della stanza e, ritta al vano ď una finestra, agucchia più preciso e squisito. Egli è per tale mobilità tutta aerea del lavoro e dell'apparato cui bastano occhi e dita, che gli fu dato, io penso, nome di punto in aria. Ma che occhi, per altro, e che dita ci vogliono! e che giunta di costanza e di garbo!
Quanto è aereo codesto primo sistema dell'ago, altrettanto è invece grave ed impaccioso il secondo de' fuselli. Si disegna egualmente la striscia la quale guida la merlettaia, giusto come la traccia prima del carbone guida il pittore. Il lavoro del resto è tutto un intreccio di un numero maggiore o minore di fila secondo la complicazione del disegno. Ciò, si capisce, non può essere aereo. Esse penzolerebbero, e, per quanto gravi d’un piombino o d'un fusello all'estremità libera, ad ogni movimento un po' brusco piglierebbero cento abbrivi in sensi dritti e traversi, producendo arruffìi disperanti e nodi gordiani, impossibili a sciorsi altrimenti che colle forbici, tramutando le operaie in tante impazienti e ricise Alessandre. A scanso di ciò la merlettaia a fuselli siede piuttosto comodona dinnanzi a uno sgabello serrante fra le ampie braccia una specie di saccone pieno, cilindrico o sferoidale, così grande che una giovanetta giungerebbe ad abbracciarlo. Su di esso posa la striscia disegnata i cui punti principali, cento, duecento, fin cinquecento e più, vengono segnalati da altrettanti spilli che sono i punti prestabiliti alle molteplici intersezioni delle finissime linee onde risulta il merletto. E tutto consiste nel sapere, fra le centinaia di capi, pigliare giusto i due, tre o più che debbono congiungersi in quel tal punto, e poi lasciarli andare e passare agli altri cui sono prescritti altri connubii, e rimessili poi anch’essi a posto, correre coll' occhio e la mano alle terze, alle quarte, alle millesime combinazioni, esaurite le quali in ordine a tutti gli scherzi di punti e linee da riprodurre, spostare per le nuove successive intersezioni gli spilli sostituendo pure dei nuovi fusellini ai primi, quando per avventura debbano mutare i colori o le loro graduazioni.
Il tombolo o pallone, che cosi lo chiamano, da lavoro, pare veramente una originalissima testa colossale, calva nel mezzo, dove sta bene steso e fermo il disegno, e invece assai fittamente  chiomata a' lati, dove le bipartite masse dè penzolanti fuselli, renderebbero precisa similitudine di grossi riccioloni.
A vederci lavorare le maestre più abili c’è da stare a bocca aperta. Con quale rapidità spostano spilli e fuselli! l'occhio non ci tien dietro affatto.
- Come mai, chiedeva un giorno la Regina Margherita ad una delle più famose, dinanzi al cui lavoro era alquanto ristata; come mai fate a trovarli così subito i fuselli che dovete così variamente intrecciare?

- Mi vengono in mano signora rispose costei. Malgrado il suo innegabile talento, non aveva mai potuto imparare il galateo dei titoli.
Vengono in mano! ciò ha il "valore d'una definizione. Merlettaia è in fatti soltanto quella alla quale i fuselli vengono in mano. A doverli cercare ci sarebbe da ammattire per fare un centimetro di merletto forse in una settimana.
Il lavoro ad ago è infinitamente più lungo, delicato ed anche faticoso. I fuselli vengono in mano, e non fanno che intrecciarsi; ma l'ago vuol essere guidato e non fora se non dopo che l’ occhio ha notato sopra, e il dito puntato sotto.
Ad ago un'operaia può lavorare sei ore al giorno, a fuselli dodici e quattordici.  Artiste vogliono essere amendue le operaie. Quella ha lavoro più intenso, diligente e direi quasi analitico , questa più spiccio ma più largo e sintetico ; li s'appunta, qui spazia; lì spende lo stillato degli occhi e del cervello, qui le corrono l'immaginazione e la memoria non tanto della testa quanto della mano; l'ago è il sacrifizio, il fusello è semplicemente il tributo ad un lavoro che però dura eterno anch'esso.
Dico eterno - strana cosa invero. Codesta produzione, tenue come la tela d'un ragnatelo, sfida i secoli – bisognò fondere in bronzo il David per non perderlo, abbiamo nei musei merletti di quasi un milennio fa, capaci di durame un altro; anche adornandosene. A lavarli, quando la materia sia perfetta, e' diventano più fini e più belli.
Ecco la qualità che distingue i merletti a mano, sia ad ago, che a fuselli. Di quelli a macchina invece è l'opposto.
Fossero anche belli, chè tali non riescono punto punto, essi non
servirebbero che per una o due volte; ripulirli, stirarli è impossibile.. Essi stanno ai merletti a mano come i solini di carta a quelli di tela.
Neanche discorrerne insomma.
Laonde le trine, a ben pensarci, non sono veramente trine di specie, come dissi da prima, ma
bine, cioè ad ago e a fuselli, non più di cosi.
Ad ago fannosi a Burano, ed il loro prezzo varia da 30 a 2000 lire al metro - a Pellestrina, a Porto secco, a Chioggia e a Venezia danzano i fuselli e i loro prodotti vanno da 9 centesimi a 200 lire. Qui e là un'operaia distinta può guadgnare da 2 a 4 lire il giorno - una media 75 centesimi.
Dopo questa disgressione, della quale non ho punto colpa se è lunga, perchè delle cose n’ho anzi tralasciate parecchie a fine di brevità, torno alla storia.

Mentre le cose de' merletti ad ago ormai volgevano al meglio, e il mio spirito ottimista e facilone respirava confidenza e buon umore, m'arriva l'opuscolino d'un sig. Michelangiolo Jesurum che a molti parve sempre, e s'afferma più che mai ora a Parigi, proprio il Michelangelo dei fuselli.
Era costì dimostrato assai chiaro, almeno per me, a che punto di perfezione quell'industria potesse venire portata in brevissimo tempo fra noi, e a che saggio di buon mercato, quantità di lavoro, e probabilità di spaccio, con benefizio
delle operaie e dei capitalisti da una parte, e del decoro e della moralità del paese dall'altra.Mandai subito per l'individuo, gli domandai schiarimenti; volli vedere campioni della produzione e me li feci lasciare per consultare in proposito il mio grande amico d'allora, la contessa Marcello, colla quale per l'appunto s'andò anzi due volte insieme a vedere, e per poco non dico a sorprendere, le poche maestre, mentre facevano saltare i fuselli in casa dell'Jesurum, e ciò coll'inquisitorio scopo di appurare l'autenticità dei prodotti, e quello pratico di averne cosi autorità di proclamare a fronte levata, in primis che il lavoro era quello lì, e poi che il metodo era effettivamente semplice e diffondibile in brevi giorni tra le già iniziate donne di Pellestrina. Io che doveva poi guidare alla conclusione che le battaglie della concorrenza potevano intanto venire combattute e vinte quasi subito sui nostri campi nazionali e prestissimo pure negli altrui, e che c'era quindi benissimo da accumulare benedizioni e quattrini, due cose che vanno sì raramente insieme. S'aperse una sottoscrizione, ed io tenni successivamente dei discorsi nuovi dove le uditrici, gli uditori e gli applausiabbondarono. Di azionisti però (malgrado la viva cooperazione Marcelliana d'allora) non potevasi dire altrettanto.

A ogni modo si chiese permesso a' soscrittori e al governo di cominciare i lavori con qualche diecina di migliaia di lire meno della chiesta somma di centomila. Alcuni azionisti ebbero più giudizio di me; e, poste le spalle al muro, dissero: o piantarsi con tutto il capitale che occorre, o non farne nulla; e ritirarono le azioni sottoscritte; ma i più assentirono. La cosa si iniziò. E tale iniziazione fu, economicamente parlando, un passo circa cinque volte maggiore della gamba, imperocché ci fosse proprio tutto da fare e da ordinare. Bisognava formare le operaie tanto che quei loro rozzi e peggio che barocchi lavori passassero ai perfettissimi d'oggidì, modificando i gusti e le consuetudini tecniche. La prospettiva loro era di guadagnare quasi subito il quintuplo, ma per intanto c'era un periodo di insegnamento e poi di addestramento da attraversare, quindi di maggior fatica, di disciplina resa più difficile dai sobillamenti delle antiche maestre, già incettatrici della produzione, non che delle cottimiste e cassiere le quali
solevano anticipare sul lavoro parte in denaro e più in merce computata al triplo del valore reale e seducente. Aggiungevasi la reazione dell'idea superstiziosa (il direttore era ebreo) non che di passioncelle e monopolii o camoruccie locali. Per quanto a Pellestrina, la Manchester dei fuselli, si ofrisse per intanto di guadagnare 75 centesimi a chi ne
guadagnava prima 15 o al più 20, e non sempre, c'era delle difficoltà a ogni piè sospinto, e lotte, e diffidenze, e picche, e coalizioni, e necessità di emancipare le operaie qui e là da debiti veri o supposti per averle, e in ultimo, avutele , da subirne per giunta la legge, per poter soddisfare in tempo ai committenti.
Nulla poteva farsi senza lotta. Occorreva dar mano a disegni nuovi? Obbiezioni tecniche senza fine, computi preventivi di maggior tempo, difficoltà, fatica e va dicendo. Giungeva invece una grossa commissione di roba tutta uguale? Altre obbiezioni e opposizioni e impuntature. - Come? Sempre disegno? è un'uggia mortale, bisogna di tanto in tanto smettere, perchè non vi si regge; l'occhio e la mano varietà! - Poi, nel bel mezzo del lavoro d'una grossa commissione, che è? che non è? eccoci il mese della Madonna, poi quell'altro di San Giuseppe, il triduo di San Tizio, la novena di San Caio, una muta d'esercizi spirituali e lì ogni cosa in sospeso. La concorrenza dell'altare ci levava uopo, e quegli scomunicati di committenti a protestare, a rinviare la merce spedita loro in ritardo, a reclamare danni e interessi.
Quindicimila lire in una volta salvate non so come………. proprio per cavalleria e filantropia dall'avvocato avversario divenutoci avvocato amico, dopo vedute le cose sul posto e resosi conto della buona volontà e dei sacrifizi sociali.
Sociali ? e cominciavano già pur troppo personali e fieramente.
Mentre si lottava con tutte le ora accennate difficoltà, le quali non sono che le principali, già ci balenava pure lo spettro degli scioperi - (questa specie di progresso attecchisce prestissimo anco nei paesi delle novene) - bisognava altresì, per tenere le promesse alla città natale e alle altre isolette e paraggi, piantare qua e là scuole sopra scuole e far prove sopra prove.
La produzione stentatissima, strappata col cavaturaccioli in
punto a quantità, era poi una perfezione di qualità, e presentava gli elementi di una invincibile concorrenza a tutta la merce straniera.

S' era dunque bensì a un mal passo, ma con forza di vapore si doveva uscirne trionfalmente.
Che fare? Cercar dei danari, - i decimi degli azionisti solventi erano esauriti. Parecchi, direi quasi i più, erano morosi. Non restava dunque nulla a sperare da loro. - Si capiva che non ne volevano sapere, perchè quanto a solvibili eran tutti. Se ci avessero avuto amore, avrebbero pagato. Gli amorosi non sono morosi - quell' a che precede è il vero alfa
privativo d'ogni mora.
Del resto anche senza disquisizioni filologiche era chiaro a tutto il consiglio d'amministrazione che bisognava cercare danari! - E dove? - Pensa, ripensa e torna a pensare, non c'era altro dove che nelle tasche mie. Anticipai una volta, due, dieci, garentii dappertutto, mi trovo ora, mille più mille meno, con un dugento mila lire a mezz'aria.

E perchè mo' io ?

Oh bella! perchè il più fiducioso, il più impegnato oramai ď amor proprio e di core, il più facilone e corrente.
- Mah! venivano osservandomi di continuo le persone saggie e per bene, se dopo le prime anticipazioni e le prime alee vostre la cosa avesse camminato perfettamente, di chi era esso il vantaggio?
- Degli azionisti! rispondevo.
- Sta bene - voi avete dunque avventurato le prime, poniamo, 100,000 lire, per avere, a cosa riuscita, il dividendo delle vostre poche azioni, e invece a cosa non riuscita la perdita totale...
- E la benemerenza morale? interrompevo io.
- E la canzonatura? reinterrompevano loro, anzi le proteste di taluni azionisti che rimpiangeranno i versamenti, perché non hai liquidato dopo perduto i primi cinque decimi?
Mi guastai sul serio con degli ottimi amici.
Ecco per esempio il discorso d'uno, il primissimo, tenuto l’anno scorso:
- Insomma con me di merletti non hai a parlar più. I miei consigli non li hai seguiti e non li segui. Ma quando vuoi fermarti? dove? c'è una proporzione fra la tua fortuna e simili sacrifizi? Del resto fa come ti pare, e sia come non detto - e mutava bruscamente discorso.
Un certo broncio rimase. Da un pezzo non se ne discorreva, ma un giorno che l'onda montava e ci avevo il cuore troppo più pieno del portafoglio, glie ne riparlai:
- Caro, ho bisogno di consigli e di aiuto da te.
- Pei tuoi merletti?
- Sfido io!... bisogna bene che tu mi açcordi una conferenza di quaranta minuti, e una somma di quaranta mila lire.
- I quaranta minuti manco se crepi!
Il suo avvocato infatti mi fece pagare a Padova le quarantamila lire dopo alcuni giorni, ma i quaranta minuti li ebbi appena in questi giorni dopo che egli giunse almeno a convincersi che la produzione sembra a Parigi la più bella e più a buon mercato di tutte, e che il saper riprodurre a
fuselli la più complicata e policroma delle raffaelle del Vaticano, con
uccelli ai quali vien voglia di dire:
canta, è, come mi scrivono di lì l'amico conte di Sambuy e Guido Fusinato (un Procolino di vent’anni di vent' anni che ha testa, gambe e vale tant’oro) la più artistica cosa del mondo, e deve anche a finir per diventare  la più commerciale.

E ça ira' sclamai.
- Anche ammettendo però, diceva il burbero sovventore che ciò vada, rimane sempre il fatto che non hai misura.
- Non è mai stato il mio forte. Lo so.
- E che nella tua correntezza mancò il senso comune.
- E chi pretende d'averne?
Non è del resto ch'io non sapessi che a nuotare nel pelago della vita col sasso della filantropia al collo si finisce per calare a fondo; ho però fatto cosa che l'amico Lorenzo Sterne ha giudicata al tutto naturale e ovviamente spiegata da più che un secolo.
Si vede un ramoscello in terra? si raccoglie perchè s'èveduto; poi si pianta perchè s'è raccolto; poi si innaffia perché s' è raccolto e piantato ; da ultimo s' ama per tutti insieme questi fatti dell'averlo raccolto; piantato e innaffiato.
Ad ogni modo ripeto che
ça ira. A Parigi le mie duemila e tante Veneziane trionfano, e io avrò ragione in tutto.
In tutto ? - anche nell'
a proposito d'una tirata simile in occasione di nozze?
Anche in quello, dacché lo sposo imparerà a non amare che una donna, vedendo in che impicci, per averne amate poco più di duemila, siasi cacciato il

                        Vostro Fambri

 

 

Ora a complemento di quel ça ira del deputato monarchico diremo ai nostri lettori che ebbe luogo a Venezia l'assemblea numerosissima degli azionisti, e che fu votata l' ampliazione del capitale, di cui la maggior parte è già sottoscritta. Conchiuderemo facendo voti noi pure perchè alla corraggiosa iniziativa del Fambri non venga meno la fortuna, e
affinchè l'esempio, senza dubbio magnanimo, possa dirsi in breve riuscito. Infatti le attrattive del martirio saranno di grandissimo
giovamento alle cause, ma noi altri economisti dobbiamo avere l'ambizione del successo.

S.


P. S. della Redazione.
La redazione deve spiegare la ragione del titolo di questa pubblicazione - La spiegazione è facilissima.
A Parigi ora tanto i merletti ad ago che quelli a fuselli furono premiati.
Ne viene che la storia che è stata raccontata più sopra è appunto quella della conquista di due medaglie d'oro. - Chi dura vince.

 

 

Tratto da  Giornale degli Economisti, Vol. 7, No. 5/6 (Agosto e Settembre 1878), pp. 365-379 (15 pages)

 

 

 

Atto verbale dell’adunanza ordinaria del 11 Dicembre 1873 - Tratto dalla rivista Ateneo Veneto, 1873

Aperta la seduta e letto il processo verbale della precedente adunanza, il Presidente invita il socio ing. Paulo Fambri a dar lettura della memoria seguente:

 

I MERLETTI UNA VOLTA ED OGGI MEMORIA dell'ing. PAULO DOTT. FAMBRI

 

Vengo di Montecitorio dopo gridato a squarcia gola e picchiato dei pugni sul banco a proposito di materie militari, bisticciandomi con finanzieri e con soldati a proposito delle più aspre e prosaiche materie del mondo. Ora vengo qua ego ille, a parlare di cose geniali, aghi, fuselli e trine. A chi sfoderasse in proposito certi epigrammi potrei facilmente rispondere che tra le cose di Marte e quelle di Venere il trait-d' union davvero non manca, e il signor Vulcano può dirlo. Ma questa sarebbe, più o men buona, una celia. La verità vera sta in ciò che materia economica e morale era quella, e materia economica e morale è questa, che lì come qui si trattava di lavoro e di sussistenza. Colui che guardando dall'alto al basso, con catonesco disdegno, le trine giranti su tre e quattro ordini intorno ad uno strascico principesco, lancia il suo facile vanitas vanitatum, troverebbe forse meno sapiente la frase salomonesca vedendo quell’ornamento medesimo sotto le dita dell'operaia dove non rappresenta sfoggio ma lavoro, cioè salvezza dal bisogno e dal pericolo. Cucito sul velluto si chiama trina, ma puntato sul cuscino si chiama pane, ed è un nome santo.

I

I merletti d'ogni gusto e maniera, (prodotto cioè d'arte, d'industria, misti dell'una e dell'altra) furono, e ciò che vale anche più, saranno la ricchissima sempre tra le fonti di lucri femminili. Il male è però che quel furono si riferisce largamente all' Italia, mentre il saranno, il quale importa tanto più quanto il pensiero degli interessi soverchia quello delle memorie, minaccia di non essere per l’avvenire affare nostro.

Noi altri, sino a un secolo e mezzo fa, anche senza avere in paese una corte la quale dettasse legge in fatto di galanteria, s' aveva ancora tanto in mano, da portare un voto importante e pressoché decisivo nel parlamento della moda. Rappresentavamo per tre quarti la produ- zione delle trine, vale a dire proprio di quella specie d'ornamento senza di cui non esiste acconciatura né ricca né elegante. In fatto di moda, chi se ne ricorda più? il de Venise precedette il de Paris. Per quanto ciò possa sembrare inverosimile, non cessa di essere vero. E Paris, figurarsi, ne fremeva, e provavasi a tutte le guerre e a tutte le riscosse suntuarie che il catonismo morale e politico, ed il proibizio- nismo economico, alleati insieme, potessero incarnare in una legislazione come s'usava a quei tempi lì. Le ordinanze di Luigi XIV, tre alla fila e rincaranti l'una sull'altra, non arrestarono però un'oncia sola del merletto di Venezia o di Genova alla frontiera del Regno. Le ordinanze doganali francesi citate dall' Alquìn avevano press' a poco il vigore delle gride spagnuole citate dal Manzoni, e le merlettaie di Burano e di Cannareggio la facevano in barba ai re di Francia come i bravi dei castelli Lombardi ai governatori di Milano. Del reddito derivante a Venezia non può nemmeno formarsi un' idea chi non abbia studiati i documenti intimi di quei tempi.

A che prezzi si pagassero i merletti di Genova e di Venezia ne troviamo un chiaro cenno nel celebre Dictionnaire des Précieuses, stam- pato nel 1660, dove è discorso di certi Canons a trois etages, A leurs jambes faisant ombrages, al discreto prezzo di sin 7000 lire al paio.

«A la cour de France, dice l’Alquin nelle sue amarissime delices de la France, on regarde comme peu de chose d'acheter des rabats, manchettes et canons de la valeur de 13,000 ecus!!!»

E questa, s'intende, era tutta roba pei cavalieri. A rivederci poi le dame! In fatto di ornamenti personali dove il sesso spigliato mette fuori uno, il grazioso ha il diritto e il dovere di spendere dieci. Ci vorrebbe anche questa che les jambes di monsieur costassero settemila lire, e il collo, le spalle, e tutte le altre belle cose di madame non fossero apprezzate a neanche settanta! — Il Colbért capi perfettamente che le riproduzioni aumentate e corrette di tutte le leggi Oppie del mondo non riuscivano a nulla, che una moda non poteva essere combattuta se non da un' altra moda, e che una provenienza non poteva essere chiusa se non col mezzo di un' altra di voga uguale, anzi maggiore. Vide

che i nobili francesi si rovinavano, non lo potendo impedire, studiò il modo che almeno le loro spoglie non uscissero di Francia. Allora non era ancora stata peranco scoperta la buffona consolazione dei Boezii dell'economia moderna, ai quali non fa niente affatto specie se la cifra dell'importazione sia enormemente grossa. Però che, dicono, non essere ciò se non uno scambio nella forma delle ricchezze, la quale esce sotto le specie di metallo ma rientra, manco male, sotto quelle di drappi, nastri, gingilli, od altre qualsiensi che' ad ogni modo a sentirli loro, le valgono.

Al Colbert invece pareva tutt' altro. Preferiva i luigi d'oro e si rammaricava assai col Boileau: De ces tributs serviles, Que payait à leur art le luxe de villes.

Il bravo uomo, bravo a spalle nostre ma bisogna dirglielo egualmente, mandò a reclutare a Venezia, a Burano, a Genova, a Chiavari, una trentina di merlettaie che raccolse nel celebre Castello di Louray, sotto la direzione di quella madamigella Gilbert che ebbe in Francia lode, forse infondata, ma grandissima di creatrice del punto d' Alencon, il quale è presso a poco quel di Burano, rimbellito però e perfezionato

con sapore tutto francese.

Le merlettaie veneziane riuscirono perfettamente, il Colbert non aveva davvero guardata a spesa per averne il fiore. Come la produzione fu copiosa abbastanza per farne una esposizione degna di Luigi XIV, egli la tentò in una delle sale di Versailles e trovò modo di infervorarne lo stesso re Luigi, il quale gratificò di una bella somma madamigella Gilbert, e qui fu giusto, ed espresse il desiderio (si sa perfettamente cosa fossero i desideri di quel bravo signore) che da allora in poi nessun cavaliere e nessuna dama si presentasse più a Corte con altri merletti che quelli lì dell'esposizione, i quali egli ribattezzò, e qui se non fu giusto fu certo abilissimo, col nome di point de France.

Non occorreva altro a portare la ricerca di codesti merletti al più alto grado. Divenne frenesia a dirittura. Un'ordinanza del 5 Agosto 1665 allargò a grandissime proporzioni la manifattura del point de Venise diventato, per regio Decreto, point de France,

Fu senz'altro costituita una società con privilegio di 10 anni e per giunta, un 360,000 lire di sussidio. Quantunque la società non procedesse misuratissima nelle spese, e mantenesse a cagion d'esempio, otto direttori a 12,000 lire l'anno (pare che i buoni posti non li abbia inventati il nostro secolo), il primo dividendo, quello del 1669, fu del 50 %, i successivi lo passarono, sinché nel 1675, spirando i 10 anni, il capitale fu rimborsato forse tre volte. Boileau ci chiamò noi altri italiani i suoi “voisins frustrès.”

 

II

Egli ebbe anche più ragione che non pensasse, imperocché noi rimanemmo frustrati non solo della supremazia commerciale esterna, ma in seguito anche dell' interna. Di produttori infatti ci trasformammo in consumatori, il punto di Venezia è diventato tanto punto di Francia, che questa poi, rendendo industria ciò che da noi era arte, inondò ed inonda alla sua volta l'Italia dei suoi prodotti.

Così quella di Colbert fu non solo una emancipazione, ma una rivincita portata più tardi sino all'invasione ed al predominio.

E qui c'è una distinzione a fare anzi tutto. I merletti sono di tre specie distinte. C’è quello che può chiamarsi d'arte. Tutto ad ago, egli è il non plus ultra della specie. E’ un vero basso rilievo in filo di refe o di seta, lavorato sopra disegni qualche volta di Tiziano e di Rafaello, e degnissimo di incarnarli.

Viene secondo il merletto intrecciato co' fuselli, un che di mezzo tra l'arte e l'industria, capace di imitare molto felicemente parecchi tra i disegni del merletto della prima specie in ciò che riguarda le linee, impotente però a riprodurne i grandi effetti per ciò che riguarda il rilievo. È di pregio e di prezzo senza confronto minore, ma può raggiungere ancora un grado notevole di perfezione, ed incarnare concetti ornamentali vari e vaghissimi, e stare bene a cavallo tra l' arte e l’industria. Esso costituisce può dirsi una vera industria artistica, due vocaboli che per buona ventura non si escludono a vicenda, come alcuni pes- simisti pretendono. Il loro connubio anzi è una necessità economica e morale del progresso.

Segue una terza specie, quella del merletto meccanico, detto thull inventato in Francia nel 1818. Appartiene alla industria e nient' altro che ad essa, non c'è ombra d'arte, ma presenta il sovrano vantaggio del buon mercato.

Il Magalotti, parlando dei fiori i quali spuntano a milioni nei prati sullo scorcio di maggio, quando cioè non hanno per sé il pregio assoluto della bellezza, se si paragonino a quelli dei giardini, e molto meno quello relativo della rarità, li chiama la canaglia dei fiori. — Allo stesso modo il thull è la canaglia dei merletti. Nero e cucito sopra un drappo nero o bianco, sopra un bianco passa, passa anche come stoffa foggiabile a giubba, casacchino o altro simile, ma come ornamento vero e spiccato, non ha né sapore nè senso, e, per poco che costi, gli è sempre più di quel che vale. Breve, non è trina, ma contraffazione ignobile ed impotente di essa. Fina ma rigida, le sue pieghe mancano di grazia, i suoi disegni di gusto e sopra tutto di rilievo.

I Francesi hanno una parola felicissima per esprimere il volgare. Essi dicono plate, piatto. Anche noi altri italiani si dice che non c’è risalto per dire che non c’è effetto. In fatti mancanza di rilievo è mancanza di movimento e di sentimento, vera negazione dell' arte.

Nel 1818, quando ogni senso d'arte pareva smarrito nelle moltitudini, quando i mobili intarsiati ed intagliati si ammonticchiavano comunque nelle soffitte, per far posto a tavoli ed a sedie stecchite, meschine e spigolose, quando la bella incisione antica pendeva dalle pareti del tinello, cedendo quelle del salotto buono ai primi sgorbi litografici, il thull meccanico era la trina del tempo. Esso doveva fare e fece furore e parve sul punto di seppellire non solo i merletti ad ago, ma anche i più modesti a fuselli. Però questa trina da crestaine( donne alla moda, modelle) non poteva a lungo essere quella delle dame, e la produzione ben presto si rilevava. Ai merletti ad ago non era per allora il caso di pensare, non perchè non tornassero di già a piacere come prezioso sfoggio di ricchezza e di gusto ad un tempo, ma perchè il mercato riboccava degli antichi portati a galla dal naufragio di tante fortune, e perciò a prezzi incomparabilmente minori di quelli di fabbricazione. La concorrenza era divenuta impossibile e l'arte languì sino alla quasi estinzione. La riscossa pertanto contro i merletti a macchina spettava ai fuselli e non all' all' ago, ed essi per vero la fecero trionfale e sono adesso padroni del campo.

 

III

Il sig. Michelangelo Jesurum nella sua notabile publicazione intorno all'industria dei merletti, ci fornisce di molti dati statistici intorno a questa bene avventurata riscossa dei fuselli a mano contro i telaj meccanici.

«In Francia, egli dice, si creano dappertutto delle fabbriche, scuole per estendere maggiormente, se fosse possibile, la fabbricazione

dei pizzi. Le prime furono quelle di Alencon, Bayeux, Caen e Dieppe, ed il numero si moltiplica ogni giorno nei Comuni vicini.

Nell’Auvergne sopratutto sì fanno i più grandi sforzi ed i più grandi sacrifizii. Il Nord della Francia egualmente si dà premura di fondare delle scuole di pizzi per tutto dove questa fabbricazione ha delle probabilità di successo; nò credo inutile di ricordare anco una volta che lo stesso sistema è pur seguito nel Belgio come in Germania.

Mr. Schneider, presidente del corpo legislativo, desiderando dare un'occupazione profìcua alle mogli ed alle figlie dei propri operai, nel 1848 fece venire al Creuzot delle lavoratrici di merletti di Bayeux, che le hanno iniziate nella loro industria, ed ora si fanno al Creuzot molti e buoni merletti neri.

Per dare un' idea di quale importanza sia l’industria dei merletti in Francia ai nostri giorni, protetta come fu da Napoleone III, traggo dalla relazione del sig. Felix Aubry, presidente del Comitato della Classe 33, gruppo 4° dell'Esposizione di Parigi del 1867, i dati seguenti:

s'impiegano in Francia per la fabbricazione dei merletti, tutte le materie tessili filate specialmente per questo lavoro. Si calcola a 200.000 il numero delle lavoratrici di merletti in Francia tra donne e fanciulle, anzi secondo M.me Burry Pallisier dovrebbero essere 240.000.

I pizzi francesi si vendono sopra tutti i mercati del mondo. Agli Stati Uniti come al Brasile, in Russia come in Germania, in Inghilterra, in Oriente e nelle Indie. Si valuta a 100 milioni la produzione annua di questa indùstria in Francia ....Si calcolano un mezzo milione le lavoratrici di merletti in Europa, delle quali circa metà in Francia ».

 

IV

E si noti che in quest' industria la materia prima rappresenta un decimo al più del valore; che cioè sopra 100 milioni ne restano in Francia almeno 90. Oggi il lusso ha rialzata la testa. In questo c’è del male e del bene. Secondo me il male passa di gran lunga il bene, però il male non c’è se non in quanto se ne invaghiscano coloro i quali non hanno i denari proporzionati alla vanità.

 

Si può essere ben persuasi che le teste false, un modo da rovinarsi lo troverebbero ad ogni modo, qualunque fossero le condizioni artistiche ed industriali del paese, e non è punto un aiutare la dissipazione Io studiare come rendere artistico il lusso poiché c'è, e non può non esserci. Tanto il verso di rimettere le nostre donne a filare come al buon tempo antico, se buono era, né io né altri vediamo. É invece visibile quello di rilevare l’intelligenza col gusto, e la rispettabilità (fonte primissima della moralità, e piuttosto causa che effetto di essa] coll’intelligenza. Né il gusto corrompe né la rozzezza del lavoro purifica. Penelope tenne a bada i proci ricamando, mentre Onfale sedusse Ercole filando. Perchè vestito di tela il vizio non si fa virtù, come la virtù non si fa vizio perchè cinta di gioie e di trine. L'arte è ad un punto ricchezza e civiltà, e chi intende gli interessi economici ed educativi non deve respingere alcuna delle sue manifestazioni. Non voglio mica dire che Molière avesse torto, a canzonare quei cavalieri i quali rendevano schiave le loro gambe dei loro «Canons à trois etages » ornamento spostato e ridicolo, ma l'abuso non condanna l’uso, e poi molte cose che fanno ridicolo il cavaliere rendono invece bella e cara la dama.

Aggiungasi che tutto ciò che rappresenta lavoro, rappresenta impiego utile e morale del tempo per parte di chi produce, e gusto ed ingentilimento di sensi e di costumi per parte di chi ragionevol-mente compera ed usa.

 

 

V

Mezzo milione di lavoratrici di merletti è una cifra assai grossa, e deve dare un prodotto accessibile ad un gran numero di fortune. Ciò non può a meno di renderne alquanto disdegnose le altissime, almeno per certi più solenni momenti e ritrovi.

E naturalissimo che per questi si cerchi il perfetto del genere e che così dall' arte industriale risalgasi all'arte vera e propria. Il merletto meccanico non potè soverchiare il merletto a fuselli, cioè l’industria brutale non potè sopraffare l'artistica, più di quello che la galvano-plastica soprafacesse il cesello, o la fotografia l'incisione. A molto più forte ragione, il merletto a fuselli non potrà mai sopraffare quello ad ago che è a dirittura un'arte bella. L' ago della merlettaia è un bulino. In Venezia, dove se del passato è pure rimasto qualche cosa gli è un po' di senso d' arte, era naturalissimo ché il risveglio cominciasse artisticamente anzichè industrialmente, cioè dall' ago piuttosto che dai fuselli.

A Burano ed a Venezia infatti con aiuti governativi, municipali e privati si sono fondate scuole dell'antico punto ed i profitti lasciano ben poco ancora a desiderare.  Non c’è antico modello che oggi le nostre fanciulle non si sentano di riprodurre. Non solo si crearono delle allieve, ma si avviarono oramai delle produzioni, e a queste, avviate appena, non mancarono gli sbocchi. Le illustri promotrici trovarono le illustri committenti. Non è solo il brutto e il tristo che sieno attaccaticci ma, là Dio mercè, anche il buono ed il bello.

Fossero tante oggi le mani addestrate ai lavori, quante sarebbero le borse e straniere e nazionali pronte agli acquisti.  Si può credere senza esagerazione che se tra Venezia e Burano si avessero un cinque o seicento merlettaie di vecchio stampo proprio addestrate, le non rimarrebbero oziose. Cinquecento sarebbe già un gran che, ma per dire d' aver fatto del bene serio, occorre ben altro. L' ago di più non può dare; però può indirettattente procurare. E qui lancio nel mondo economico una idea, ed affermo che nell’ interesse di una piazza manifatturiera né l’industria artistica può prosperare senza l’arte, né questa senza quella.

 

 

VI

Non è soltanto buono, ma essenziale che un paese abbia tutta la scala di una data specie di produzioni, non solo la cima.

Produrre le qualità medie è creare artisti capaci di produrre in appresso le superiori e prepararsene, le commissioni. Suppongasi un momento che in Francia ci si rifaccia il tiro di Colbert e si riproduca il merlo ad ago, per quale ragione coloro che quivi provvedono il mer- letto a fuselli, duplicherebbero corrispondenze e contratti per pro-curarsi a Venezia od a Durano di quel tale merletto ad ago potendolo avere da un produttore unico e con uno sconto certamente maggiore? È naturale che quegli che sopperisce a due bisogni del consumatore possa agevolare in confronto di colui che sopperisce ad un solo. L'avere in un paese l'esercizio di tutte le gradualità vere di una produzione ( il thull meccanico non va considerato tra queste per le ragioni dette più sopra) è il migliore tra i modi di sviluppare la produzione, essendo il miglior mezzo di accentrarne il mercato e vincerne la concorrenza.

La città di Venezia lo capisce intuitivamente e dice infatti ogni giorno al Salviati, produttore incomparabile di vetri artistici:

« impossessatevi anche del terreno industriale, occupatevi dei bisogni delle nostre mense quotidiane. Come il Ginori, sebbene emulatore dei Faentini e degli Urbinati non isdegna fornire le stoviglie alle nostre mense e alle nostre tolette, così voi dateci pure artistici, ma non più di quello che l'economia e la concorrenza lo consentano, le boccie e i bicchieri del nostro pranzo quotidiano ».

Il medesimo va detto dei merletti e ciò per le medesime ragioni commerciali. Non bisogna contentarsi di circondare di pizzi preziosi la sottana e il corsaletti della gran signora, ma somministrarle altresì quelli di filo e di lana da orlare le sue dieci o dodici vesti di tela per le bagnature, e le altrettante di seta per le tolette dei balli minori. Non è la sola bellezza, ma la varietà altresì che costituisce lo sfoggio. La più sfarzosa acconciatura alla sua terza o quarta comparsa è sfatata. Cotesta gran signora che si sarà presentata ad un ballo anteriore, ornata di pizzi da forse 1000 franchi al metro, si mostrerà anche più gran signora se la festa dopo, anziché coi medesimi, ricomparirà con altri sia pure da 40 a 50. D'altra parte nei festini c’è etichetta, e per così dire gerarchia d' importanza che rende anche logica una gradazione di lusso.

Ora non è punto utile che codesta gran signora o codesta gran pazza (sarà l'una o l'altra secondo che le sue spese saranno o no proporzionate alle sue entrate) debba rivolgersi a produttori diversi, perchè c'è sempre il pericolo che il produttore inferiore con la contraf- fazione più meno felice e l'attrattiva del buon mercato faccia il gambetto all' industria superiore.

Un’altra ragione ancora della necessità di possedere tutte le gradazioni e qualità della merce ella è questa, che per la produzione artistica a grandi prezzi, può sempre arrivare un periodo di arenamento ed è bene che le operaie abbiano mezzo di sottrarsi ad uno sciopero in- volontario rivolgendo la propria attività alla industria inferiore, la quale è naturale che conoscano e sappiano esercitare.

Certo uno stipettaio non si troverà imbarazzato a fare il falegname, né un macchinista a fare il magnano. Sarà un passo indietro e spiacevole il passare dall'ago ai fuselli, ma meno spiacevole ancora che passare dal guadagno all' indigenza e alla fame.

D'altra parte il lavoro ad ago è un terribile sciupio d'occhi. Una metà, forse due terzi delle operaie a 30 anni dovrebbero smettere. Ebbene, se c'è un'industria inferiore che le accolga, le cose vanno; se questa non c’è, ecco delle famiglie forse, e senza forse, rovinate. L' industria de' fuselli è una scala tanto per salire alla su-periore dell' ago come per scendere da essa. È un primo vivaio e un ultimo ricetto.

 

VII

Torniamo alle cifre.

E’detto più sopra, e non senza appunto di ottimismo, che tanto per un cinquecento merlettaie d'ago commissioni ce ne sarebbero.  Ma tra Venezia e Burano, a voler rilevare l'economia, l’igiene e la moralità (per non parlare poi del commercio) bisognerebbe impiegarne almeno due o tre migliaia. Ebbene, non c‘è che un mezzo, quello di risuscitare l’industria tradizionale dei merletti in ambedue i suoi rami, perchè quello cadetto de' fuselli non è tradizionale meno del suo primogenito ad ago, tanto è vero che vive ancora, di una vita meschina invero ed anche indecorosa per la natura infelicissima degli attuali prodotti, ma pur vive.

Il signor Jesurum che se ne intende assai, perchè a questa materia c’è in mezzo dacché è nato, e se ne intende non solo come commerciante, ma anche come produttore, afferma, e ragionandoci un po' sopra non è difficile a persuadersene, che tutte quelle centinaia di povere donne le quali lavorano ora alla peggio, spendendo un po' più di tempo, mettendo un po' più d'attenzione, impiegando materia di perfetta qualità, e seguendo disegni di buon gusto, darebbero quasi immediatamente prodotti perfetti e tali da sostenere e vincere alla seconda prova, se non immediatamente alla prima, qualunque concorrenza straniera.

Nel valore del merletto a fuselli la materia c’è per uno e la lavorazione per un grosso multiplo. Non c'è bisogno d'appoggiarsi all'autorità di nessuno su ciò; basta pigliare alcuni metri di merletto di seta e gettarli in bilancia. Si troverà che il valore del merletto rappresenterà da 15 a 20 volte quello di un peso eguale di seta filata. Il decuplo può essere il costo, il di più, che in parecchie circostanze rappresenta altrettanto, è guadagno del capitalista, del produttore e dello spacciatore. Industria più rimoneratrice non è facile imagìnare non che trovare.

Del mezzo milione di lavoratrici di merletti in Europa non è dir molto affermando che il ventesimo, cioè venticinquemila, lavorano per le signore italiane.

Quando noi avremo dato lavoro ad un tre, anzi quattromila donne, tra Venezia, Pelestrina e Burano, e avremo portato sul mercato tutto il prodotto delle loro mani, avremo supplito appena al sesto della produzione che l'Italia introduce dalla Francia! Il migliaio che ancora avanza rappresenta il poco che pur si produce anziché introdurre oggi in Italia.

In questo conto c’è piuttosto da vantaggiare che da scapitare, perocché gettando sul mercato e a prezzi migliori tutto questo prodotto italiano perfezionato, non c’è un dubbio al mondo che si verificherà esportazione all'estero, essendo certo che, per un lungo tratto di tempo ancora, le merce di italiane restino al disotto delle francesi.

Né io dubito tampoco (nemmeno) che ci riesca di passare i francesi, se non nella leggiadria almeno nella correttezza dei disegni, e nel sentimento dell’ arte antica che questa specie di lavorazione é pur sempre obbligata a richiamare, se non precisamente a riprodurre. Non é questo sentimento della linea antica che ci mantiene il primato e ci rese da qualche tempo i fornitori dei due mondi per la mobiglia di fogge medioevali e cinquecentistiche? Non è il sentimento dell' arte antica che comincia a farsi largo su tutti i mercati alle nostre maioliche e ai nostri bronzi?

Non vi è infatti difficile merletto antico ad ago che qualcheduna delle nostre brave fanciulle non si senta oramai di riprodurre dopo qualche giorno di prova. É il caso ora di dare altrettanta opera non già alla scuola dei merletti a fuselli, che non ve ne ha bisogno essendo avviata la cosa, ma all'attuazione in grande di tale industria per mettersi in grado di sostituire alla importazione straniera il lavoro nazionale. Quando ciò si faccia, ogni casa di Burano e di Pelestrina, e moltissime di Venezia diventano scuola e officina. Non si tratta di fondare l’industria ma di moltiplicarla, dando vigore alla produzione, sicurezza alla commissione, ampiezza allo spaccio.

 

VIII

L' idea propugnata dal sig. Jesurum non é meno felice e promettente dal lato morale che da quello economico. Le parole con cui egli chiude la sua proposta meritano di essere riprodotte e meditate.

“Sotto il punto di vista storico ed economico, ho impiegato certamente poca fatica per persuadere i miei lettori sull’importanza dell’industria dei merletti, come fonte di ricchezza nazionale. Ora  però è anche dal lato morale che sento il dovere di brevemente discorrrere. I merletti nacquero ed ebbero culla principale sulle spiagge del mare, come la Grecia, Venezia, Genova, la Spagna, l'Inghilterra,

Malta etc, ma non è difficile spiegarsi perchè le nazioni marittime si siano dedicate specialmente a questa industria. Le lavoranti sono per la maggior parte le donne, e le figlie dei pescatori e dei marinai. Il lavoro dei merletti dà loro il mezzo di sostenere la famiglia nelle lunghe e pericolose assenze dei loro mariti.

Esse non potrebbero esercitare che quelle industrie le quali, come questa, si fanno a domicilio. Esse non potrebbero abbandonare le loro case ed i loro figli; per cui questa industria ha l' immenso vantaggio di non separare mai l'operaia dalla sua famiglia. Anche nelle campagne le cure della casa e dei campi sono alternate dall’opera dei fuselli e dell' ago: facendo notare questo M. Burry Palliser dice: « che per tutto si cerca di propagare un' industria femminile che può esercitarsi in condizioni cosi favorevoli. »

E dal lato della publica moralità chi non vede la grande differenza tra questa industria, che si esercita a domicilio, in confronto di quelle

che riuniscono le donne in una fabbrica? Come potrebbesi chiamare un’officina, dove si riunisce qualche centinaio di donne? Io non so dirlo.

Faccio però notare come sia un fatto, che la corruzione che esercitano tra esse molte donne riunite, non regge al paragone di quella dove non vi sono che uomini.

Nell’ industria dei merletti, non vediamo le madri abbandonare i loro lattanti; non vediamo vispe, o troppo vispe, ragazze camminare forse un miglio o due per arrivare alle loro fabbriche, e ritornarsene poi di notte o sole o con delle compagne (locchè spesso è peggio) per le vie popolate di una grande città! . . Le ragazze che esercitano questa industria, non si staccano mai dagli occhi materni, che sono i più sicuri custodi del loro pudore; abituandosi a questo lavoro, acquistano una pacatezza di carattere ed una sobrietà di costumi, da far dire all'autore molte volte citato; che dove si fabbricano merletti esiste in alto grado la publica moralità.

Relativamente al benessere delle classi operaie, questa industria presenta un altro immenso vantaggio, cioè quello di dare occupazione alle sole donne, permettendo alla madre di famiglia di contribuire per la sua parte alle spese di casa, mentre tante altre industrie non richieggono che le braccia del marito, che allora deve provvedere da solo al mantenimento della moglie e dei figli.

Gli è già da un pezzo che il Comune di Venezia ebbe la idea lodevolissima di avviare dei serii studi sulle piccole industrie, le quali giudicò importantissimo di incoraggiare sempre, ma più che mai nel periodo di transizione, utile forse ma ad ogni modo difficile, dal privilegio del porto franco ai vincoli della legge comune.

Trovare oggi un'industria ricca di tradizioni, e quindi ragioni artistiche e storiche, la quale non abbia bisogno di motori di cui manchiamo, né di grandi capitali di cui non abbondiamo, è proprio, come suol dirsi, la man di Dio. Impiegare in pochi mesi, forse settimane, qualcle migliaio di donne, sostituirsi ad una importazione, creare una esportazione od almeno prepararla, è il sogno santo della filantropia che per singolare favore della sorte può tradursi prontamente nel calcolo della speculazione, e passare vivo vivo dalla tribuna dell' oratore accademico all' officina del produttore e al banco del commerciante.

A qualche signora veneziana e a qualche straniera ( dico qualche per dir pochissime dacché le più, è meglio essere sinceri che galanti, non si son date gran che per intese dei replicati appelli della stampa) a qualche signora veneziana, dico, e a qualche illustre straniera, é già sembrato un gran fatto il cooperare alla fondazione di una scuola che è ora officina e preparare pane, dignità, moralità e lavoro a ventiquattro fanciulle. Ora se Venezia intende e la proposta e il momento, ne lavoreranno 400 tra un mese forse, e 4000 tra un anno.

Ove non se ne facesse nulla, non solo non lavorerebbero né le 4000 né le 400 ma la finirebbero presto anche le ventiquattro.

Un metro di merletto di Burano, perfetto così che nessuna antica l'ha mai superato, un metro, dico, alto circa dodici centimetri, domanda, sentite un po' che lavoro :

1. Tre mesi per la rete;

2.Uno pei fiori;

3.Uno e più per l’orlatura ornata.

Cinque mesi!

Aggiungete refe, locale, riscaldamento, lumi. Un metro, pagando a 30 cent. il. giorno 1 operaia, viene a quasi 80 lire.

So che c'è tre periodi nella carriera artistica, il primo quello del fare lento e male, il secondo del lento e bene, e il terzo del presto e bene

e so che le nostre fanciulle di Burano non sono che al secondo periodo. Fanno bene ma lento.

Mettiamo, ed è metter troppo, che raddoppino e facciano un metro su 2 mesi e mezzo, ma dovranno progredir loro e lo stipendio no? il rad- doppiamento di capacità non porterà quello delle loro giuste esigenze? In tal caso sarà raddoppiata la produzione ma identico rimane il prezzo. Saremo sempre sul torno degli 80 e forse 100 franchi.

Se le cose stanno così avremo l'arte senza facilitazioni industriali, senza mezzi commerciali e quindi senza ragione economica.

Diamo sviluppo a' fuselli, circondiamo di 4000 operaie un centinaio due tre di vere artiste e la grande, la irruente produzione del lavoro comune occasionerà la ricerca del lavoro eccezionale, del capo- lavoro. Il consumatore che può salire non rimane mai a mezza la scala, ma l'esistenza della scala è la prima e più efficace delle tentazionì a salire. Non può essere che un artista, un filantropo od un originale il quale senta il bisogno di arrampicarsi lassù dove né la moda lo inviti, né l' interesse lo chiami. Volere o non volere l'esistenza isolata della sola produzione superiore é un fatto che manca di ragione economica; mentre quella della sola produzione inferiore è possibilissimo e si incontra di frequente e prospera.

Si capisce che di una piramide esista la sola base, ma non la sola punta.

La moda d'altra parte, non è che voga e la voga non è creata che nei grandi centri di produzione.

Bisogna dunque sviluppare l'industria anche per salvare l’arte. Non c'è nessua industria capace di alimentare decine di persone, che costi meno di questa, buona per migliaia.

Per l'arte in discorso poi non si tratta d’una conquista, ma di una rivendicazione.

Madama Gilbert è stata una preziosa alleata del Golbert; quale fortuna per Venezia se le nostre signore fossero un poco invidiose!

 

Dopo la memoria del Fambri, nessuno prendendo la parola, il Presidente ringraziò l'oratore di avere scello l'Ateneo per propugnare una causa sì giusta e che può tornare vantaggiosissima al nostro paese, e, sciolta l'adunanza publica, l'Ateneo si raccolse in seduta privata, nella quale fu stabilito di riconvocare la Giunta nominata per la questione del duello sostituendo nuovi membri a quelli che hanno rinunciato di formarvi parte, e si incaricò la Presidenza di scrivere alla Associazione di Publica Utilità por farle noto che, in conformità alle deliberazioni prese in altra occasione, è trascorso il termine da essa richiesto per la relazione sulla questione della rappresentanza proporzionale.

 

Il Presidente G. M. Malvezzi

Il Segretario per le scienze A. MlKELLI

 

Nel dicembre del 1873 “La Gazzetta di Venezia” pubblicò un lungo articolo sull’avvenimento. Alla conferenza erano presenti anche molte signore. L’articolo riassunse l’esposizione di Paolo Fambri concludendo così: “ Dopo la lettura che fu con vivi applausi, l’autore chiese la parola e disse che desiderava che l’Ateneo si pronunziasse sulla questione economica, non che iniziare una operazione industriale. Espresse il desiderio che questa però sorgesse, svolse altre ragioni sulla sua opportunità e dichiarò che come egli aveva in sì nobile aula speso del fiato, per consigliarla così all’uopo sarebbe il primo a mettere le mani in tasca per aggiungere agli intenti morali il concorso materiale. L’oratore è pronto di voce e di mano, se gli altri lo imiteranno colla stessa benevolenza con cui lo ascoltarono, le parole non tarderanno a divenire fatti compiuti.

 

 

 

Notizie sui giornali

 

Il Giornale di Udine del 1886 riportò questa notizia: “L’on. Grimaldi ha accordato a Paulo Fambri il grande diploma e la medaglia al merito industriale, per l’incremento da lui dato all’industria veneziana de’ merletti e delle trine”.

 

 

Sitografia

 

https://archive.org/details/GV1873-12/page/n51/mode/2up

 

Curiosità

A Burano c’è una via a lui intitolata.

 

 

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