Abruzzo

Costume tradizionale di Mascione, (AQ) Estella Canziani,

 

 

 

 

scanno_costume_06

Merlettaie di Scanno  

 

Merlettaia Abruzzese  in costume tradizionale (courtesy Carla Lopez)

 

Merletto a fuselli a fili continui* (Cattedrale dell’Aquila)

 

Merletto abruzzese VXI secolo

La lavorazione della trina a fusello è praticata ancora oggi su tutto il territorio abruzzese, i centri dove questa arte è più diffusa sono L'Aquila, Scanno, Pescocostanzo. Si presume che questa forma artigianale si sia diffusa in questi paesi perché le donne, durante i mesi invernali non essendo impegnate nelle attività di campagna, si dedicassero al tombolo. Questo le portò a perfezionarsi nella tecnica e nell'avere ordinazioni di corredi tanto da farne un lavoro. Il merletto abruzzese ritenuto prezioso e raffinato, acquistò fama e prestigio in tutto il Regno di Napoli.

 

Sorelle de Pasquale maestre merlettaie

 

Sorelle de Pasquale, impartiscono lezioni, pubblicato su “Emporium”, 1895

 

Tramezzo

 

Tovaglietta a tombolo

L'Aquila

“Quando la Regina Isabella nel 1493 venne all’Aquila per visitare le reliquie di San Bernardino, i cronisti dell’epoca ricordano che ai cavalieri del seguito recarono meraviglia, nelle feste sontuose che preparò la città, la rigogliosa bellezza delle donne aquilane e la squisita ricchezza dei merletti onde erano adorne”. Orazio D’Angelo, aquilano (1904).

Nella “Guida della città dell'Aquila” datata 1888, Matilde Oddo Bonafede fotografava dettagliatamente la situazione del merletto: “In molte città d’Italia v’ha qualche lavoro speciale, dal quale le donne del popolo traggono il sostentamento e qualche volta sensibili guadagni. In Palermo il ricamo, in Firenze la treccia di paglia, in Venezia i lavori da conterie, nelle città lombarde la filatura e la tessitura della seta e del cotone. Nell’Aquila il lavoro tradizionale è il merletto. Fiorentissimo una volta, anche oggi resiste alla concorrenza, e tiene alto il suo nome nelle industrie abruzzesi. Si può dire che poche sono le donne aquilane che non siano pratiche in questo genere di lavoro. Il così detto punto d’Aquila varia di prezzo secondo la finezza del filo e l’altezza del merletto. Le coroncine e i ventaglini sono generalmente lavorati dalle bambine, perchè facili, e si vendono da 4 a 6 soldi al metro, se lavorati in cotone grosso, da 8 a 10, in filo. L’altezza massima dei merletti di punto aquilano è di centimetri 30, ed il prezzo massimo è di L. 250 al metro. Ma nelle scuole elementari come in qualunque altro istituto femminile di pubblica beneficenza, le bambine imparano anche il merletto Riattaccato , i punti Guipure, Brusselles, Valencienne, Veneziano ed anche il tanto pregiato e diffìcile punto d’Inghilterra, che si vende fino a L. 1000 al metro. Le figlie del popolo col guadagno di questo lavoro aiutano la famiglia; le signorine lavorano per conto proprio e si preparano i loro corredi. Le forestiere, che amano il lavoro, frequentano la scuola privata di merletti, e so di alcune giovanette che, lasciando l’Aquila, portarono seco per molte migliaia di lire di questi pregiati lavori fatti colle proprie mani. Il metodo adoperato per insegnare a fare i merletti è semplice, e ad onore della gente aquilana debbo dire che essa non è punto gelosa, come altre, della sua specialità, ma volentieri e con disinteresse l’insegna a chiunque voglia apprenderla.” La Scuola privata di merletto si trovava in Piazza S.Maria di Paganica, Palazzo Franchi e nel 1888 era ancora attiva.

Merletto a punto antico, eseguito all’Aquila per la Regina Margherita con più di 2.000 fuselli, mostra di Chieti 1895

Guarnitura di camice in punto aquilano riattaccato, appartenente alla marchesa Cappelli, mostra di Chieti 1895

Nel 1895, in occasione di una visita della coppia reale all’Aquila, il quotidiano “Il Popolo Romano” pubblicava questo accurato e dettagliato articolo: L’esposizione dei merletti  Le LL. MM. Il Re e la Regina, prima di lasciare Aquila, hanno voluto onorare della loro augusta presenza un’espsizione di merletti aquilani, organizzata da un comitato di signore presieduto dal marchese Dragonetti.  Il Comitato era composto delle più distinte e nobili dame della città, quali donna Anna Ciolina, marchesa Maria Cappelli, donna Rosa Palitti, marchesa Quinai, marchesa Dragonetti, signora Ranieri, signora Grossi. Né, credo, potevano meglio onorarsi le LL. MM. Che invitandole a visitare che ciò di più bello e pregevole produce la città nostra. L ‘industria del merletto sia all’ago che a fuselli è in Aquila una delle più fiorenti. Il merletto aquilano segna un mezzo termine tra il vaporoso merletto francese e il grandioso e nobile punto di Venezia. S.M. la regina, da quella fine e intelligente conoscitrice che ella è, si è trattenuta lungamente ad esaminare i numerosi merletti esposti, manifestando di tanto in tanto la sua alta soddisfazione per la finitezza dei lavori che cadevano sotto i suoi augusti sguardi. Nella sezione delle scuole comunali femminili diretta dalla valentissima maestra pannicelli e dall’infaticabile cav. Parrozzani vi erano ventiquattro graziosissime bambine in abito Bleu-ciel, intente al lavoro dei merletti a fuselli, e con le quali S.M. la regina si è lungamente trattenuta, rivolgendo una parola amabile e gentile a tutte. Dovrei parlare dei lavori esposti, ma ardua è l’inpresa in mezzo a tanta quantità e splendore di oggetti. Mi proverò alla meglio:

Signorina Ciolina. Un magnifico ventaglio ornato, e fazzoletto di pizzo aquilano

Signorina Betti: uno splendido ombrellino a punto attaccato, fazzoletto punto a fiori.

Signora e Signorina Ranieri: vari squisiti merletti a tutte coppie.

Signorina Sidoni: pizzi a fiori e ricami

Signorina Ida Fabrizi: un meraviglioso merletto a punto riattaccato.

Signora Camerini: merletti in punto aquilano.

Marchesa Dragonetti: punto d’Inghilterra.

Signorina Bice Visconti: ventaglio in punto da ricamo.

Donna Rosa Palitti: mouchoir in punto riattaccato

Donna Bice Signorini: merletto a tutte coppie ammiratissimo

Destarono la generale approvazione i lavori dell’asilo d’infanzia, scuole di S Paolo e delle signorine Mariangeli, Visca, De Mattheis, Paolini e molte molte altre. S.M. la regina e il re, nel lasciare l’esposizione espressero nuovamente la loro piena compiacenza per la riuscitissima mostra, ringraziandone vivamente il Comitato organizzatore. Tutte le signorine esponenti erano presenti alla visita reale, e formavano un vago bouquet di fiori. Fra gli uomini presenti, ho notato il conte Guglielmo vinci, l’on. Galletti, l’on Cappelli Il senatore Cappelli il cav. Ciolina e il nostro egregio sindaco cav. Jacobucci che tanto pure si è adoperato per la buona riuscita della mostra. Un ringraziamento va pure al sig. Baiocco, che ha ceduto per la circostanza la sua splendida sala, ove non si sa se più ammirare la ricchezza dei marmi o il valore degli affreschi che la adornano.”

Sala Baiocco

L'Esposizione Universale del 1911 a Roma prevedeva una mostra regionale ed etnografica allestita nella odierna Piazza Mazzini. Luigi Serra, su questa mostra scrisse un articolo dedicato al merletto aquilano sulla rivista Emporium: “ La Mostra etnografica di Roma ha offerto sin dal giorno inaugurale considerevoli manifestazioni artistiche al pubblico eletto che girava per i viali non bene assodati e dove gran parte dei padiglioni erano ancor cinti da impalcature. Fra le più importanti, sia perchè non evocazione faticosa, sia per l’intrinseco suo accento di gentilezza, è quella dei merletti aquilani. Essi sono stati accolti nella sala superiore di una casetta assai nota ad Aquila sotto il nome di «Le Cancelle», che rispecchia il tipo delle abitazioni popolari aquilane del secolo XVI, con botteghe sottostanti, respirando, pur nella sua rozzezza, quel senso di eleganza che fu diffuso nel meraviglioso periodo della nostra Rinascita per tutta la penisola. Il merletto aquilano non è stato ancora indagato nell'intera sua significazione, nelle origini, nelle rispondenze ideali con espressioni affini, nelle sue peculiarità e ne' suoi valori con quella larghezza che esige la lunga tradizione e la grande bellezza. Pare che il suo nascimento abbia a cercarsi nel merletto veneziano, poiché con Venezia Aquila ebbe frequenti contatti commerciali. Però il merletto aquilano assunse ben presto caratteristiche spiccate. Ora esso è distinto segnatamente in merletto a punto aquilano antico e a punto nuovo aquilano (Per questi cenni ci siamo largamente giovati dello scritto del prof. Orazio d'Angelo in Illustrazione Abruzzese e della conferenza della signorina Pia Catalano pubblicata nella Città dell' Aquila del 30 aprile 1911).

Tovaglia da tè con inserti di merletto

La differenza tra codeste estrinsecazioni è definita lucidamente dal d'Angelo, del quale riportiamo le parole: «Il punto aquilano antico è eseguito con tutte e sette le combinazioni fondamentali del merletto, ad eccezione della riattaccatura con l'uncinetto e lo spillo, della quale non ha bisogno, e somiglia al punto d'Inghilterra, ma ha reti speciali e di più ha rilievi di disegno, e le reti ed i rilievi si lavorano contemporaneamente al tessuto, il che, mentre accresce le difficoltà dell'esecuzione, conferisce al merletto maggiore finezza e colorito, ed una elegante originalità. La direzione dei fili del tessuto di questo punto antico è somigliante a quella dei fili di una stoffa ritagliata, applicata sul tulle, ed il tulle si esegue diagonalmente. Occorrono moltissimi fuselli. Il punto nuovo aquilano o commerciale, è eseguito su carta bucherellata con tre delle sette combinazioni fondamentali, cioè col mezzo punto, il punto a tela ed il fondo a rete, del quale ultimo si usano principalmente quello a conocchiola (maglie esagonali contornate da piccoli fori) e quello a pizzi. I fuselli restano sempre, come nel punto antico, raccomandati al tombolo, e così l'esecuzione ne riesce più facile, e maggiore ne è la precisione. Altra caratteristica del merletto aquilano è che esso è tutto di un pezzo, a differenza di quello veneziano e di quello valenciennes; il filo è di finezza e bianchezza incomparabile. Il merletto ebbe grande sviluppo ad Aquila nel Cinquecento e nel Seicento. Ma, quando sembrava negletto, veniva coltivato nel silenzio dei chiostri come un vago fiore alimentato nel mistero delle serre.

Sciarpa e balza a punto Aquilano

Soltanto ai nostri tempi l'armoniosa sua grazia si è novellamente affermata in libero rifiorimento. L'impulso pare sia venuto dagli ingenti acquisti di antichi merletti che molti mercanti forestieri compirono. In realtà, va riconosciuto a due aquilane, Concetta Pannicelli e Concetta Cerulli, il merito di aver fatto trionfare su dall'abbandono secolare questa gloria locale e di averla mirabilmente divulgata. Nei 1877 venne aggiunta alle scuole elementari femminili una sezione di merletti. Dal 1899 il merletto si lavora nelle scuole professionali femminili. E  molte onorificenze, conseguite in esposizioni italiane e straniere, attestano la saviezza d'intenti che alla scuola presiede. Con le scuole professionali divide il vanto della rinnovata espansione del merletto aquilano il laboratorio L'Aquila. Esso sorse nel 1904, per iniziativa del commendatore Vincenzo Camerini, uomo di intuito pronto e di alacri spiriti, un comitato di dieci signore, cui presiedono con infaticata tenacia Giuseppina Camerini, Binetta Bruno e Checchina Visconti, ha, in breve ora, impressa una vita magnifica alla nascente istituzione, consacrata, si può dire, dalle insigni onorificenze conquistate a Milano nel 1906, a Jesi nel 1910, e specialmente alla grande Esposizione di Bruxelles del 1910.

Coperta di merletto a fuselli, nella parte bassa si può vedere la notevole quantità di fuselli necessari per la lavorazione

A questo laboratorio appartengono i saggi che animano le candide pareti della casetta aquilana trapiantata a Roma; che le scuole professionali hanno inviata l'opera loro alla Mostra di Torino. Nella modesta casa aquilana, da squisite mani disposti, rifulgono le pure forme in atteggiamenti di grazia. Ecco una coperta di pizzi a fuselli, eseguita in tre anni circa di intenso lavoro. Essa accoglie i motivi essenziali del pizzo aquilano : i cappelli, le rosette, i quattro cuori o cuori doppi, il motivo dell'angolo, quello dell’esse. Il disegno si deve al direttore artistico e professor cavaliere GaetanoTentarelli, che ha spesa la sua fervida attività nel comporre fini disegni per merletti. A tradurlo in atto furon necessari circa 8.000 fuselli, maneggiati da cinque operaie contemporaneamente. Accanto a questa si fa notare una sciarpa lunga m. 2,80 e larga 70 cm. Anche per essa il disegno fu fornito dal Tentarelli, il quale innestò con gusto ai motivi consueti della Rinascita, altri di fantasia. L'agile delicata compagine è opera della signorina Patrignani direttrice del laboratorio, la quale vi si dedicò ben tre anni, adoperando quasi 2000 fuselli. A volte i merletti ripetono motivi colti nei pili cospicui monumenti che Aquila vanti. Tra essi va segnalato il leggero e florido partito ornamentale che anima l'urna di Maria Pereyra nel Mausoleo eretto a lei ed alla sua figlioletta da Silvestro dell'Aquila. Altre volte si han variazioni sugli atteggiamenti tradizionali del merletto, più o meno libere, ma sempre sobrie ed improntate di distinzione. Così in un servizio da tavola per thè, con bordo fiorito di freschi girari vegetali, con il centro graziosamente trapunto, e vaghi effetti di linee e di chiaroscuro nei piccoli tovaglioli. Così in una coperta, cui gli ornati geometrici infondono una singolare animazione; in un merletto sontuoso per ricco motivo insistentemente ripetuto; in alcuni ventagli di decoro intimamente diverso l'uno dall'altro, nei quali la fantasia del disegnatore ha fermato armonie di linee e leggiadrie di forme. Oltre questi esemplari, che esprimono almaggior grado l'alta venustà dei merletti aquilani, molti altri si addensano; lavori di gran lena e di gran costo accanto ad altri che han richiesto operosità minore e sono, perciò, più facilmente accessibili. Così che questa esposizione, in cui sorride il più gentile fiore della odierna attività artistica di Aquila, è insieme un omaggio al continuato splendore della tradizione e come un augurale auspicio per l'avvenire. Ed è dolce cosa poter intravedere in essa un accenno a quel rifiorire del gusto artistico in tutte le espressioni della vita che già fu precipua gioia del Rinascimento, del più radioso momento della nostra storia civile.

Coperta a punto riattaccato

 

Ventagli in merletto aquilano

Soft Art: una ricetta per l’antica arte del merletto

La Comunità Europea all’interno del Programma Socrates ha finanziato nell’anno 2001 il progetto “Soft Art”, che prevedeva il reclutamento di 18 esperti nella formazione dell’arte del merletto, che fanno parte degli stati membri della Comunità. La seconda fase prevedeva convegni, mostre, un sito web e tutto ciò che avrebbe potuto dare un maggior impulso all’arte del merletto.

Nel Novembre del 2002, all’interno di tale progetto si è svolto un seminario di studi a L’Aquila, presso il Castello Cinquecentesco. Tra gli argomenti trattati si è parlato della storia e delle tecniche del merletto di Scanno con le esperte: Maria Carmela La Monticella in rappresentanza del Comune di Scanno e la Maestra Merlettaia, Anna Maria Pizzacalla.

Con enorme successo l’anno successivo, l’Abruzzo ha coordinato il progetto, nell’ambito della “Soft Art”, per il recupero della storia del merletto in collaborazione con l’Alte Spitze tedesco e il museo Alicante spagnolo. I patner coinvolti hanno sottolineato l’importanza di questo progetto comune, ottimizzando le risorse e riportando alla luce questo tipo di lavoro conferendogli una nuova collocazione tra le più moderne arti di artigianato.

 

Maria Cristina Bravi

Nella città dell’Aquila vive e lavora Maria Cristina che gestisce il laboratorio ”Le mani d’oro”dove si può trovare una diversità di articoli: dai classici centrotavola, agli originali gioielli.

Maria Cristina Bravi, con il suo tombolo ed alcune sue opere:

Centro donato alla First Lady Carla Bruni in occasione del G8 all’Aquila, luglio 2009

  

“La Rinascita”

Il 6 Aprile 2009 alle ore 3,32 ora locale, la terra abruzzese ha tremato. Molte persone hanno lasciato per sempre i loro cari, molti feriti, case distrutte, vite che si sono fermate….per poco tempo perché la gran voglia di ritornare come prima, voglia di riprendersi la vita e dimenticare i brutti ricordi è stata forte, come il sisma. Cristina ha perso il suo laboratorio, ma questo sorriso dice tutto.

  

Cristina si è ripresa il tombolo tra le macerie e ha voluto ritornare alla normalità. Nella seconda foto vediamo l’inaugurazione della sua piccola casetta-laboratorio, nel Villaggio del Commercio, Via Carlo Gonfalonieri-località impianti sportivi di Verdeacqua-L'Aquila.

Aielli ( AQ)

Ad Aielli, un paesino in provincia dell’Aquila, Pierina Rico  si dedica al merletto a tombolo nel suo laboratorio artigianale. Apprese l’arte del tombolo presso la scuola di merletto di Scanno.

Ecco alcune sue opere:

Un sontuoso copriletto

Tovaglia da 12 persone

Scanno

scanno_card_20

Costume tradizionale di Scanno

Il merletto di Scanno ha delle caratteristiche peculiari: è realizzato con un filo di cotone sottilissimo e le coppie di fuselli variano da tre a dodici e viene realizzato, a volte, senza disegno. La lavorazione può essere a filo non continuo, cioè si spezza il filo terminata una parte del lavoro, per poi riattaccare i fuselli, continuando un altro motivo facente parte dello stesso lavoro. Il tombolo fa parte del corredo, delle giovani spose di Scanno, che fin da bambine hanno assaporato l'arte del merletto dalle loro nonne e madri. Il tombolo e la "sceda (disegno), facevano parte dell'arredo di casa. Durante l'estate si possono vedere le merlettaie,  sedute sulle scale dei tipici vicoletti del paese, intente nella lavorazione del tombolo.

 

      

“Il gioiello del tombolo” di Federica Silvani e Francesco Rotolo unendo l’arte del tombolo e l’arte orafa hanno creato una considerevole collezione di gioielli.

 

 

Scannocomp       scanno

Merlettaie di Scanno

Presso l'Asilo Comunale gestito da Suore, alcune volontarie organizzano dei corsi, per poter tramandare l'arte. A Scanno si trova "Il Museo della Lana" dove si possono vedere reperti delle lavorazioni artigianali del passato, tra cui il tombolo. Molto bello è il costume tradizionale che non a caso viene nominato come "Il Costume degno di una Regina". Un giovane imprenditore scannese ha realizzato delle statuine in oro e argento che rappresentano la donna di Scanno nel costume tradizionale.

Il costume tradizionale di Scanno (tratto da “Poliorama pittoresco”, 1855-56)

“Il Signor Giuseppe Tanturri di Scanno, nell’occuparsi della monografia di quel circondario che deve far parte del Regno delle due Sicilie descritto e illustrato, ci ha gentilmente inviato un disegno a colore del bizzarro costume delle donne di quel paese, e da esso il valoroso Signor Mattej ha tratto la graziosa vignetta che accompagna questo articolo.

Le donne di Scanno indossano panni di lana in qualsivoglia stagione. La gonnella, che forse non impropriamente chiamano casacca, è di colore verde cupo, scarlatto negli sponsali, con fitte pieghe al di dietro, che raccolte e congiunte ad un pezzo di panno a foggia di camiciola, tolgono a chi la indossa ogni garbo di vita; la quale perciò non rimane quasi per nulla spezzata. Il giustacuore, “comodino”, diviso dalla gonnella, è di panno turchino scuro, a larghe maniche pieghettate sulla spalla e ne’ polsi, e guarnite di ricamo colorato nell’estremità; nel di dietro ha piccola faldina sporgente ad uso di coda; nel davanti chiude esso il petto quasi sino al collo; ma nuovo e bizzarro è il modo di stringerlo ed abbottonarlo. Divisa la lunghezza delle due faldine in tre parti, nella prima parte superiore sono quattro bottoni di argento disposti verticalmente che le chiudono; nel mezzo sono altri sei bottoni disposti in due ordini su piccolo pezzo quadrilatero di panno intagliato, che chiamano “pettiglia”; e nella parte inferiore vengon chiuse con quattro “ciappette” anche di argento; le quali in certo modo stanno a sostegno della non piccola dovizie del petto. Nel giro del collo il comodino è guarnito di merletto increspato. Il grembiule, denominato “mantesa”, suol’essere di tessuto di lana non gualcato (infeltrito), e di colore o scarlatto, o cremisi, o cenerino, o violetto. Dividono i capelli dal sincipite all’occipite in due porzioni, che accolgono posteriormente in due ciocche; le quali intrecciate con lacci di seta di varii colori, girano sul capo, a mo’ di corona, lasciando dietro le orecchie due trecce con bel garbo disposte a semicerchio, le quali solamente sono visibili, mentre il rimanente resta più o meno coperto da un originalissimo “cappelletto”. E’ il “cappelletto” una specie di turbante, che diversifica da quello de’ Musulmani perchè di poco più alto, con coda più lunga, per nulla increspato nel davanti, ed è amovibile senza che resti scomposto. La “tocca” , il “fasciatoio”, e il violetto ne sono i componenti. La “tocca” è una fascia di bambagia a più pieghe, alta mezzo palmo circa, che si avvolge dalla fronte all’occipite e da questo a quella, e costituisce, direi quasi, l’ossatura del “cappelletto”. Il “fasciatoio” è un pezzo di merinos, ovvero di tessuto di lana non gualcato, di colore turchino oscuro, della forma di un’asciugamani, la cui metà spiegano sul vertice, nel mentre adattano il lembo destro sul sinistro, e l’estremità anteriore rovesciano sulla posteriore, facendo rimanere dalla fronte in su un quadrilatero più o meno allo; e quindi col piegare il lembo sinistro sul destro, arrotondano gli angoli anteriori, e ritengono con spille nel di dietro all’orlo superiore della tocca le due parli ristrette, che vanno cosi a cader penzoloni fin presso alla regione infrascapolare. E’ questa l’“incappatura”, che corrisponderebbe alla piccola tenuta, o tenuta giornaliera. Ma l’incappatura, non è il cappelletto. Per aversi questo bello e formato, occorre il “violetto”, cioè una seconda fascia di bambagia, ma grezza e di lento tessuto la quale coi suoi giri , mentre copre perfettamente la prima, ed in parte anche il “fasciatoio” lascia nel suo ultimo giro delle liste verticali intessute di seta a varii colori, ed anche a filigrana. Le calzette sono o bianche, o color cece, o turchine; e non raramente veggonsi le scarpe guernite di fibbie d argento. Sopraccaricano poi il collo di lacci di oro a maglie sottilissime, dai quali scendono due, tre e talvolta quattro ciondoli, anche di oro, chiamati “gioie” che fissano lateralmente alla “pettiglia”, a guisa di altrettante insegne cavalleresche. Usano pendenti più o meno grandi alle orecchie, una quantità di anelli con castoni ben grandi alle mani. Le altre particolarità di questo veramente bizzarro costume, con talune considerazioni, si leggeranno nel Regno delle Due Sicilie scritto e illustrato.”

Vedova e sposa di Scanno, Estella Canziani

Pescocostanzo, Aquila

Merlettaie di Pescocostanzo che lavorano all’aperto in Via Colle di S. Maria delle Grazie*

A Pescocostanzo, tra il 1400 e il 1700, si stabilì una colonia di artigiani proveniente dalla Lombardia, che influenzò le varie espressioni artistiche della città, quindi anche il merletto ricevette una certa influenza nella sua realizzazione.

Merletti e ricami di Pescocostanzo, mostra di Chieti, 1895

Corrado Ricci nel 1905, descrivendo la casa della famiglia Colecchi di Pescocostanzo scriveva: “La casa Colecchi è tutto un museo di costumi, di tappeti e di merletti. Il suo salone è meno armonico di quello dell'altro, ma è certo ugualmente ricco. Una decorazione di carta dipinta vela il soffitto, portiere stemmate e dipinte celano le porte, tappeti secolari ammantano i tavoli, sedie e sedili seicenteschi s'allineano intorno, cornici e specchi occhieggiano. E se negli spazi vuoti s'ergessero delle vetrine e in queste riapparissero in piena luce i costumi goldoniani dei ricchi e quelli assai più originali del popolo minuto, le coperte intessute di merletti fantasiosi, la camicia cinquecentesca fiorita con Vago, il grembiule dalle roselline bianche e quello dai leoni rossi, il merletto della «pupa”, dell'aquila e del garofano. Se la nobile casa facesse degna mostra di tutto il suo tesoro celato nelle antiche casse col profumo dello spigonardo, Pescocostanzo sarebbe fiera del più squisito museo d'arte femminile dell'Italia meridionale. E i forestieri che venissero quassù, comodamente in ferrovia fino a questi 1395 metri, non sarebbero turbati dal rimpianto di un'abilità smarrita. Il gusto della bellezza sopravvive con quello dell'alfabeto. Una confraternita insegna a leggere italiano e latino a quelli che non sanno ed esercita quelli che non vogliono dimenticare, un vecchio fabbro aspetta sempre ordini munifici per emulare con successo i suoi maggiori, una maestra ha ritrovato il segreto della tessitura doppia e delle erbe colorifere dei tappeti antichi folti di bestiole, tutti i contadini diventano d'inverno marmorari, e tutte le donne intessono gioielli di trine intorno al tombolo in ogni stagione. Il costume delle buone donne, festoso di bianco rosso e turchino, ricco di trine d'oro e di pizzi più preziosi ancora, è svanito col sopraggiungere della fatica. La roncola e la scure, il fascio di legna e il sacco di fieno hanno soppresso violentemente ogni ornamento, ogni lembo superfluo. Ma le piccole mani ferite dal gelo e incallite dalla fatica non han perduto l'agile segreto del ritmo dei fuselli; gli occhi nerissimi non hanno dimenticato la visione sicura dei delicati nodi che inseguono le forme antiche. In ogni casa, ad ogni porta, su ogni scala, accanto alla colonnina stemmata e fiorita che canta la sua perenne armonia, v'è sempre una figurina intenta alla memoria del modello prediletto, con un tombolo irto di punte sulle sue ginocchia, e le rapidissime dita che ripetono il ritmo quasi inconsapevoli... Oh, miracolo di un sentimento sviluppato fino ai confini dell' istinto! L'arte del merletto prospera incontaminata a Pescocostanzo da parecchi secoli. Il popolo e i dotti del luogo unirono sempre il primo ricordo di quella abilità rustica con l'immagine della poetessa sconsolata, con la graziosa signoria di Vittoria Colonna. E perchè i Colonna ebbero continui rapporti con Venezia, e perchè parve che una parte notevole del merletto antico ricordasse il punto e il disegno veneziano, fu generale persuasione che Venezia e Vittoria Colonna avessero trasportate fra le nostre montagne la delicatissima arte. Ma la intuizione immediata della signora Elisa Ricci che ne vide gli esemplari più celebrati assicurò che non soltanto l'influenza veneziana ma su tutto quella milanese vi aveva avuto larghissima parte. E tale giudizio trasse ben presto motivo di conferma da un pubblico istrumento dell'anno 1566 scovato dal dott. Gaetano Sabbatini, in cui si ricorda a Pesco, quale capitano amministratore di giustizia, un Giovan Battista Bagatti, milanese. Ora è certo, che sia per le donne del capitano, sia per qualche monaca capitata di lassù, il punto milanese fu importato accanto a quello veneziano, sì che dell'uno e dell'altro tipo restano esemplari stupendi, sì che del doppio motivo dura perenne la conoscenza diffusa e l'abilità perfetta. La marchesa De Viti de Marco fa giungere il refe d'Irlanda, monsignor D’Eramo organizza il lavoro, una maestra ne tiene scuola, le Industrie femminili italiane regolano lo smercio dell'abbondante produzione, e la squisita industria rifiorisce. Dopo la fatica rude del bosco, l'agile lavorìo del tombolo è un ristoro!... Il bosco è lontani), le montagne più vicine sono brulle, ma per contrasto i due piani che sì diffondono ai lati del paese come due immense ali. sono tinti del più fresco e più intenso verde. Scendendo verso la ferrovia e guardando la sterminata pianura dal Colle Elisa, pare di vedere la distesa di un lago verde ondulato dalle correnti e limitato dalla catena delle Pietre Cernare frastagliate e irte come dolomiti. La Alajella domina lontano questo spettacolo vasto e limpido della solitudine e della ferrovia, del piano e della montagna, del prato raso e del bosco scuro, dell' ingenuità primitiva e delle arti sottili...”.

L’industria del merletto è tradizionale nell’ Abruzzo.

 

Campionario di merletti abruzzesi raccolto da Etta de Viti de Marco e Minnie Luck, pubblicato su “Emporium”, 1895

Romualdo Pantini (abruzzese) nel 1895 scrisse un articolo molto esaustivo sul merletto di Pescocostanzo sulla rivista Emporium: “Vi fu un tempo, sempre quel beato secolo XV, in cui i merletti aquilani gareggiavano con quelli di Venezia e di Genova. Ora tornano all’onore del mondo per l’operosità animatrice della marchesa Etta De Viti De Marco, e l’approvazione e l’incoraggiamento delle nostre Regine ne hanno ratificato l’ottimo successo. A mille e trecento metri sul mare, in uno dei più vaghi altipiani erbosi della Majella, Pescocostanzo conserva immutati il suo carattere e la sua solitudine, nonostante che il fischio della locomotiva — languidetto anzi che no — sibili alle sue falde e l’importanza climatica della vicina Roccaraso cominci a spingervi dentro noiosi e sfaccendati. Pescocostanzo godè della protezione illuminata di Vittoria Colonna. Per cura di lei, nobile signora e poetessa, alcuni artisti pescolani poterono recarsi a Roma per apprendervi a scolpire; e l’altare di marmo nella chiesa è testimonio della loro bravura. Ora il motto nello scudo del Municipio suona fieramente: «Peschus Costantius Utilis sui Domina»! Poiché sotto Ferdinando III gli alpestri e fieri pescolani vollero soppresso qualunque vestigio della loro servile sudditanza a’ Marchesi di Pescara. Del resto, oltre l’altare marmoreo, tutta la chiesa dagli archi a pieno sesto rifatta integralmente nel 1456, e il cancello in ferro battuto su cui nel secolo XVIII ignoto artista indigeno riuscì quasi a cesellare capricciosi intrecci di forme umane e mostruose, aggiungono vaghissimo interesse alle povere case del paesello montanino. La forza maschile ne emigrò attratta da altri soli, e le donne sono rimaste a sostenere insieme il lavoro della zappa e del merletto. Vi sono come piccoli gruppi di famiglie che lavorano insieme, ma indipendentemente e le fanciulle seguono un corso quasi regolare d’insegnamento. Un tempo vi si praticava anche il punto ad ago, ma le condizioni dure della vita hanno ridotte le donne al solo tombolo. Ed alcune eseguiscono i merletti senza disegno di guida, semplicemente a memoria; e questi merletti perciò detti a disegno sciolto sono stati molto incoraggiati da una signora inglese, romana di elezione e di dimora, Miss Minnie Luck. Cosi la marchesa De Viti come la signora Luck hanno scoperto e rilevato il fascino di questi merletti, visitando nella stagione bella il paese e dimorandovi per qualche tempo. Monsignore d’Eramo, pescolano di nascita, fu specialmente gentile nel facilitar loro le relazioni dirette con le trinaje, le quali, per quanto fiere e amanti della loro indipendenza in modo tutto abruzzese, riconoscono in certo modo l’autorità della maestra elementare ed abilissima esecutrice, la signora Rosa Tellis. La marchesa De Viti non poteva meglio illuminare sul Giornale d’Italia la poesia e il sapore di questo lavoro montanino, che era prima coltivato largamente nei vicini paeselli di Roccaraso e Rivisondoli. È prezzo dell’opera riferire le sue buone parole: « Nel recinto di quelle case dove il lungo freddo dell’inverno dà alla vita l’impronta d’una specie di clausura, carattere che non perde pure durante la breve estate, si trovano ancora donne industriose, umili, le quali, uscendo raramente di casa, vivono in un mondo a parte, fatto tutto di lavoro e dei problemi della tecnica, vi studiano per trovare nuovi punti, s’ingegnano a ritrarre da frammenti di carta custoditi in qualche cassone, i disegni tracciati da mani da lunghi anni sparite, e dove spesso una idea è appena accennata e per indovinarla ci vuole l’affinità del sentimento artistico con chi prima sognò quelle figure. Per quegli animi rinchiusi in un silenzio medievale il tombolo offre quasi l’unico sfogo della fantasia e del sentimento religioso. Quanti sogni ricordati in questi merletti! Qui studiano il vero ed il bello, e nei lavori destinati alla chiesa ritraggono con cuore devoto i simboli amati, li studiano, li penetrano animandoli di fervore mistico». E veramente se grande è l’interesse artistico e la squisitezza tecnica di queste trine, fatte per fiorire le gale fruscianti di una gonna come per punteggiare lo scollo bruno di un seno vergine, o per decorare la santità dell’altare d’amore, molto deriva dall’affetto con cui quelle donne continuano il lavoro tradizionale delle loro famiglie. E questo amore è sentito. Alla marchesa De Viti una contadina diceva nel suo rozzo dialetto che un merletto o un tessuto è inutile senza l’affetto con cui è stato lavorato. E chi ricordi anche vagamente le idee sane del Ruskin sulla bellezza del lavoro manuale, non può non essere sorpreso dalla mirabile corrispondenza di pensiero a tante miglia di distanza.

Pinti Pinti

Campionario di punti e motivi

Questo modo di dire abruzzese così grazioso ed incisivo si traduce semplicemente in italiano: punti punti. E mi piace prendere da essi le mosse, perchè danno quasi l’immagine immediata degli umili merletti a fusello che le contadine di Pescocostanzo hanno rimesso in onore. I pinti pinti non rappresentano ancora i frisi più minuti. C’è la filettera che è il semplice filo riunito col fusello; ci sono i denti di cane che rasentano il più semplice ed embrionale smerlo. I pinti pinti sarebbero tuttavia il friso più ingenuo, ma organico: sono infatti costituiti da una serie parallela di anelli, smerlati di qua e di là. Queste piccole trine a nastro sono le più dilette alle contadine abruzzesi, perchè non impediscono loro di attendere alla vigilanza de’ bambini e delle pecore. Le fanno non altrimenti che la calza o una trina, all’uncinetto; non altrimenti che le contadine toscane cianciano e cianciano senza fine intrecciando la paglia. Giustamente la signora Romanelli lo notò nel suo manuale. Le contadine abruzzesi hanno tolto al tombolo — sempre s’intende per le piccole trine il suo aspetto fastidioso, ingombrante, diciamolo pure coercitivo. Ne hanno ridotto le proporzioni, ne hanno foggiato una tal sorta di rozzo manicotto che legato al collo per mezzo di un cordone non impedisce i liberi movimenti delle braccia. Naturalmente bisogna che tengano i fuselli dalla parte anteriore; e se l’effetto è strano, è anche ammirevole la pazienza e l’alacrità con cui conducono il lavoro storcendo un poco le mani. Immagini della natura e della vita sono accolte largamente a foggiare i motivi emblematici dei più semplici frisi. Naturalmente la interpretazione è un po’ vaga, secondo la esperienza e l’abilità della trinaia. In certi casi confesso sinceramente che senza la spiegazione esplicita mi sarei stillato inutilmente gli occhi ed il cervello, ad indovinare il senso recondito degli amorosi intrecci. Così nel friso dei pescitelle si avrebbe un bel riguardare per comprendere in quelle piccole losanghe la forma tipica del pesce. Pur sono pesciolini e ci gusta che lo spirito inventivo delle lavoratrici abbia congiunto un motivo essenzialmente geometrico con questa forma naturale. Geometriche sono certamente le minime e compatte serie delle crocette, ma in questi lavori minori la chiusadotte emerge per vaghezza ed armonia. Otto fili chiudono (di qui il nome del merletto) il vaghissimo friso che anche ad un occhio inesperto rivela un sobrio equilibrio di parti. Passiamo a frisi più complessi. La stranezza degli appellativi è certamente stuzzicante. Guardate un po’ la mezza scaletta, la scaluccia, il vasarello: sorprendente è la seggetella. Le dà nome quello scherzo fanciullesco che si fa incrociando quattro mani. Da questo piano di diti intessuti — che altrove in Abruzzo si chiama, più enfaticamente, seggiolina d’oro — all’abbozzo del merletto il trapasso è forte. E si sarebbe tentati di pensare alla clepsidra, se in un friso troppo classicamente non si ricordasse il simbolo della cornucopia. Più pronta corrispondenza stilistica è nelle tre frondette con risvolta, nella frondetta appesa colla rete, nei piccoli cuori posati fra le anse di un nastro. Anche l’antica monetina del regno borbonico, il carlinello, appare in piccoli gruppi, a tre, distinti fra loro o raccostati. Ma più di tutti la «sonata sul tamburello » deve riempirci di stupore. Questa rappresentazione grafica della musica potrebbe prestarsi a molte divagazioni. Ma nel capriccio del disegno che riunisce alla meglio due motivi distinti, due tempi, è forse riposta la ragione del nome capriccioso.

Tovaglietta con pupazzi

Pizzi maggiori.

L’elemento figurativo desunto direttamente dalla vita, più o meno armonizzato bene su alcuni prototipi geometrici della consuetudine, è stato del tutto trascurato dai trattatisti. Forse essi Io ignoravano affatto. Ma pei merletti abruzzesi questo elemento è di una importanza originale, se non assoluta: è la stessa vita nei suoi aspetti giornalieri, che si rispecchia nel lavoro, che s'immedesima con l’arte, e in essa si spiritualizza. A considerare lungamente queste figure embrionali che persistono anche nelle trine di maggior lena e sviluppo, nei merletti cioè che rivelano maggiore studio di disegno e una più facile trasformazione a contatto di merletti e disegni facilmente importati, pare di cogliere nel loro ritmo un po’ incerto, la stessa armonia di uno stornello o di una cantilena locale. Guardate in un elegantissimo fregio per fazzoletto come la figura umana sia costretta nelle valve sferiche, e sia proprio ridotta alla sua essenza primitiva. Ora per intendere meglio la presenza ed il nome di questi pupazzi, bisogna ricordare che ogni buona contadina abruzzese, come anche altrove in campagna, forma con la pasta una tal sorta di figuro che fa cuocere nel forno e regala ai bambini.

  

Il gallo o l'uccello domestico in genere è un’altra figura che ricorre sovente. E tiene il campo quasi assoluto nel merletto secentistico, con l’occhio stellato come un fiore, con la cresta crociforme, con le ali e la coda largamente stilizzate; ed appare in forma più ridotta e cincischiata, con la coda trasformata addirittura in un fiore astrale nel grandissimo fregio (certo per tovaglia d’altare) in cui è frammesso e connesso ad un largo e barocco motivo di tralcio. Ma il motivo essenzialmente floreale, oltreché in questi saggi confusamente, è di una bellezza vaghissima in altri merletti e specialmente in uno molto composto quasi classico e però riferibile senza dubbio alla seconda metà del cinquecento. Benché molto meno felice non si può trascurare un qualche spunto architettonico. Nel largo pizzo riprodotto insieme col precedente si ripete una serie di tre simboli senza alcuna connessione stilistica fra loro. Il modello del tempietto greco-romano é evidentissimo; non così chiari si possono dire gli altri due, forse una croce ortodossa e la rilegatura di un breviario. E una decorazione allestita alla meglio da qualche disegnatore locale, forse per suggerimenti ricevuti, certo per decorazione di arredi sacri.

Tra il punto napoletano ed il punto di Genova.

Gli studi amorosi della signora Romanelli mi dispensano dalla noia e dall’aridità di un esame tecnico e stilistico insieme. E’ evidente da uno sguardo complessivo delle splendide riproduzioni che una originalità completa non si può riconoscere. Piuttosto bisogna dire che le industriose e pazienti lavoratrici hanno saputo ravvivare e far proprie molte trine di classica nomea. Fra i loro merletti ricorre sovente il pizzo rinascimento e il punto Duchesse. Ma è strano che nessuna infiltrazione vi si noti dei tre punti veneziani. E qui bisogna riflettere che il paese di Pescocostanzo è del versante occidentale della Majella, quindi fuori di quel contatto immediato che Ve¬nezia pur ebbe commercialmente ed industrialmente col litorale abruzzese. Lasciamo ai trattatisti del genere che districhino tutte le sottili classificazioni; per noi hanno valore assoluto così i più eleganti e geometrici pizzi, come quelli in cui la mano rustica pare ancora inceppata nella estrinsecazione di un'idea. Certo le caratteristiche più notevoli di questi merletti sono da ricercare nella simbologia degli oggetti domestici ed in certe rappresentazioni della flora e della fauna. Esclusa ogni derivazione veneziana, il campo delle osservazioni per lo studioso si restringe tra il punto napoletano ed il punto genovese. Anzi, poiché il Séguin e la stessa Romanelli convengono che il punto napoletano non sia che una derivazione genovese, noi forse dobbiamo a’ soli modelli liguri quella esattezza e delicatezza geometrica, che possiamo dire perfezionata in alcuni merletti per gala. La signora Romanelli riporta nel suo manuale Hoepli una trina genovese (v. pag. 230) che il Séguin vorrebbe della prima metà del seicento ed ella crede ancora cinquecentesca. Questa trina difficilissima, disegnata sul tracciato di un reticello ha un motivo fondamentale nella rosetta. L’andamento di questo guipure, come anche un po’ di tracciato per l’esecuzione ad ago, noi ritroviamo nel bellissimo pizzo. Solo le centine sono semicircolari ed il rapporto del motivo a ventaglio è molto intimo col motivo onduleggiante che sostiene la parte longitudinale del pizzo. A ogni modo questo mi sembra degno di una speciale considerazione : è il più bello e il più vago fra i merletti a fuselli che ricordan ancora lo spirito e la leggerezza di quei pizzi ad ago, di cui forse la più miracolosa esemplificazione è nel libro di Cesare Vecellio veneziano.

La vecchierella.

In questo risveglio salutare di arte femminile e rurale, quanta parte conta la vecchierella! Ella è la figura simbolica della tradizione che invecchia ma vuol essere raccolta o sostentata ancora: ella è come il lume esausto che dà ancora gli ultimi guizzi, perchè siate a tempo di riaccendervi la vostra lampana. Quando il tristissimo inverno del 1872 rese persuase le signore venete che le isolane di Burano e di Torcello avevano bisogno di un lavoro assiduo, di una industria utile e bella per campar la vita, il famoso « Punto di Venezia » non era conosciuto ed eseguito che da una settuagenaria, da una povera rammendatora, Cencia Scarpariola. Ed era così rozza ed ignorante la povera donna che dovettero metterle intorno qualche giovane perchè da quelle mani tremole sorprendesse il segreto e la tecnica del punto. Più tragico è il caso recente di Valseriana. Ottuagenaria era la vecchia che ancora vi praticava il « punto avorio » o « saraceno ». Ma la contessa Suardi accorrendo sul luogo contrastò alla morte il segreto di una bella industria femminile, che ora, promossa e favorita, è di gran vantaggio al paese. La vecchietta, come avesse compiuto ogni sua funzione di bene, poco dopo morì. A Pescocostanzo, dove le trine non sono l’assoluta occupazione delle povere donne, anche ottantenne è la vecchia che conserva, unica, la pratica degli antichi tappeti ricamati a mano.Ora l’esperienza ci ha resi più solleciti e amorosi di questa arte rustica, che adorna la nostra casa, che profuma la nostra vita e dà ristoro alle buone lavoratrici; e però non tarderà molto che anche l’ottuagenaria di Pescocostanzo, la maestra dei tappeti, sarà ricordata con le antiche vestali di Burano e di Valseriana.

L’avvenire.

L’avvenire di Pescocostanzo ci può riservare molte e gradite sensazioni; oltre l’industria dei tappeti, esso potrà ravvivare un genere più nobile ed elegante nello stesso ramo dei merletti. Negli antichi esemplari del 500 e 600 appaiono frange eseguite tutte co’ fuselli, ma in seta di diversi colori. Alcune sono state ritrovate dalla benemerita Miss Luck; ed è sperabile che perle ricche guarnizioni possano avere il più largo favore delle dame. Ma una cosa occorre ancora: un rinnovamento bene inteso. Questa moda arcaica che prevale in tutte le forme della vita accenna a decrescere, accenna cioè a diventare veramente utile e vitale. Dalle forme antiche dobbiamo desumere il sano insegnamento per le buone forme nuove. Cristallizzarsi nella copia arida sarebbe mortifero. E le brave trinaje di Pesco hanno sempre dimostrato uno spirito ed una ricerca continua di vivere la loro vita di oggi insieme con la vita spirituale del passato. Utilissimo può riuscire un sapiente innesto di forme nuove su le antiche trine, quando ci sia uno spirito illuminato che sappia cogliere e interpretare il sentimento regionale di questi merletti. Un semplice sguardo a quella mirabile « Corona » di Cesare Vecellio basta a persuadere chiunque che l’arte gentile delle trine è suscettibile di qualunque forma di bellezza e di vita.”

 

 

     

Alcuni esemplari antichi di trine pescolane, gli ultimi due esempi sono eseguiti liberamente senza l’ausilio del disegno.

 La trina pescolana è realizzata con filo di lino e sovente il lavoro è a filo continuo. Si va da un minimo di sei coppie di fuselli per il pizzo rinascimentale, ad un massimo di trenta per quello sciolto e i motivi caratteristici sono : la giara, l'aquila, il pesce, la rosa. 

 

“ I Pupi”, merletto del XVIII secolo* ( Collezione Fam. Colecchi, Pescocostanzo)

 

 

“Le Pupe”, particolare di un merletto del XVIX secolo, similare al precedente e conservato al “Cleveland Museum of Art”, Cleveland, Ohio, USA. Dono di

 

 

Merletti pescolani, collezione Fam. Sabatini

Per poter tramandare la tradizione alle nuove generazioni il Comune di Pescocostanzo ha istituito nel 1992, presso il Palazzo del Governatore, la "Scuola del Merletto a tombolo", finanziata con una specifica legge regionale dove i ragazzi possono seguire lezioni gratuite da giugno a settembre.  Presso Palazzo Fanzago, antico convento di clausura, è ospitato il museo del merletto. 

Merlettaia di Pescocostanzo in Via Del Corso

Alcuni sampler del XVIII secolo

Sulmona, Aquila

Nel 1868 all’Esposizione artistico, archeologico, industriale svoltasi a Genova, troviamo dei merletti a piombini di Sulmona portati dalla marchesa Maddalena Crosa di Vergani.

 

Atri (Teramo)

Costume tradizionale delle contadine di Atri^

Bonafede Matilde Oddo nel 1888 descriveva così il costume di Atri: « Le contadine di Atri coprono il loro capo con largo fazzolo di forma quadrata, ripiegato per diagonale e rimboccato nei due lati sopra la testa. Un tempo fu di panno lino orlato di merletto o (pizzillo) poscia si fece di percalla ricamato all’ intorno ed oggi di tullo (tulle) ancor messo a ricami più o meno ricchi. Gli orecchini (sciacquagli) sono alcuni cerchietti di oro, poligoni più o meno grandi, ornati nel mezzo con una catenella smaltala. La collana, o è di coralli ad un filo, a due e tre e fino a quattro, l’uno più lungo dell’altro, cosicché stringono ed abbracciano per intero il collo; oppure la collana può essere fatta di tante pallottoline di oro ( poste d’oro) anche a più di un filo. L’apertura della camicia è orlata di merletto. Una specie di corsettino (sacchetto) stringe la vita ;questo ha maniche spezzate, raggiunte da nocche di fettucce, e n’escon fuori alcuni rigonfi della camicia appunto là sopra le spalle. Il grembiule (parnanza) per lo più è bianco. La gonna (guarnello) ha finissime pieghe dette codde, ed è ornata nella parte inferiore con una balzana di fettuccia. Un tempo, quando correva un’età sobria e pudica, il vestire delle nostre contadine era per lo più di panno lano tinto in casa con iscorze di alberi e fiori campestri. Oggi appena si è conservata la foggia di quel semplicissimo vestire; e spesso oggi fra le genti del contado le meglio stanti, si usa la seta in luogo del modesto fustagno.”

Canzano (Teramo)

Canzano, città del merletto”, questa dicitura si trova in una targa posta all’ingresso del paese, qui le donne sono orgogliose della loro scuola di ricamo e merletto dove abili e sapienti insegnanti impartiscono la loro conoscenza. La Regione Abruzzo ha sostenuto e continua in tempi odierni a sostenere la tradizione delle lavorazioni artigiane artistiche, riconoscendone il patrimonio culturale. Nel 1990 la Regione assegnò al Comune di Canzano un contributo per una mostra sul merletto# . La Giunta Regionale con due delibere ha permesso al Comune di Canzano di portare nelle scuole elementari la conoscenza del ricamo e del merletto e la possibilità di recuperare una tradizione che stava scomparendo. Tutti gli anni nella prima quindicina di Agosto si svolge la “ Mostra del Ricamo e del  Merletto, Antico e Moderno”.

Gessopalena ( Chieti)

 

Antico merletto prodotto a  Gessopalena

    

Merletti del XVIII secolo eseguiti senza ausilio del disegno

Merletto attribuito a Gessopalena* (Campanari, Roma)

Guardiagrele ( Chieti)

Guardiagrele, alle falde della Majella, ha una sua storia legata soprattutto all'artigianato e qui tutti gli anni, si svolge la Mostra dell’artigianato legata ad un concorso. La prima mostra si svolse nel 1971,  nel 1988 venne introdotto anche il concorso per il merletto a fuselli. Il primo premio a tema libero, venne assegnato a Rosati Paolina di Corropoli (TE).

In questo Comune, nasce nel 1998 l’Associazione “ Le Arti Antiche”, con sede nell’ex convento delle Suore Francescane; l’associazione ha come scopo principale, mantenere vivo l’interesse verso la tradizione nazionale e abruzzese, del ricamo e del merletto.

artiantiche

Vasto (Chieti)

A Vasto, presso il Palazzo d'Avalos, ha sede una collezione prestigiosa di costumi tradizionali. Possiamo ammirarne uno che rappresenta l'abito per le feste importanti ed ha il grembiule impreziosito con merletti realizzati al tombolo e così anche la "tovaglia" o "velo da testa".

vasto

Costume esposto nel Museo di Vasto

Tocco da Casauria ( Pescara)

Mostra di merletti:  Tocco, merletti di inizio 800 alla cantina Filomusi Guelfi, di Walter Teti

TOCCO DA CASAURIA - L'occasione del concerto del duo Ciavatta-Ciolino che la sezione di Pescara di Italia Nostra propone questa sera, alle ore 20.30, nella sede della cantina dei Filomusi Guelfi di Tocco, dà l'opportunità a Lorenzo Filomusi Guelfi, titolare dell'omonima enoteca, di esporre al pubblico antichi merletti, pizzi, e trine risalenti alla prima metà dell'Ottocento. La scelta di far svolgere il concerto nella prestigiosa tenuta Guelfi rientra nell'ambito delle iniziative per la valorizzazione del patrimonio architettonico storico regionale, che Italia Nostra ha realizzato in collaborazione con il Conservatorio di musica di Pescara "Luisa D'Annunzio". Scovati in due "stanze morte" della immensa casa di famiglia di Popoli dalla moglie Amelia Genco, dove probabilmente sono rimasti sepolti per almeno un secolo, i preziosi capolavori artigianali sono stati portati nell'antica residenza dei nobili Filomusi Guelfi di Tocco, «dove potranno fare bella mostra di sé sistemati vicino alle opere in legno e in pietra che adornano la casa, anch'essa un gioiello di ricchezze storiche e architettoniche», spiega la signora Amelia. «I reperti», precisa Lorenzo Filomusi Guelfi «costituivano i corredi di nozze di nobildonne entrate nella nostra famiglia: è nostra intenzione condividere con tutti l'apprezzamento di questi autentici capolavori». (Questo articolo è apparso sul quotidiano “il Centro”, il 13 settembre 1998)

Penne, Pescara

A Penne nell’ottocento alcune famiglie si erano dedicate alla produzione di biancheria che veniva poi venduta nei mercati di Roma. Il ricamo, oltre la pregevole tessitura degli arazzi, godeva di un’attenzione particolare e quando si istituì nel 1887 l’Istituto d’Arte, una delle prime sezioni fu quella del ricamo e merletto. Nella seconda metà del ‘900 la scuola manteneva ancora questa sezione, infatti la Gazzetta Ufficiale del 6 giugno 1959 pubblicava il bando di concorso per 101 insegnanti di arte applicata nelle scuole d’arte statali e per Penne si cercavano 2 insegnanti di merletto e ricamo. Attualmente non si hanno notizie se il merletto abbia ancora una sua continuità.

Negli anni ’50 era in circolazione questo francobollo ”Il tombolo in Abruzzo e Molise”, del valore di 6 Lire.

1853 Mostra Industriale, Napoli

Nel maggio del 1853 si svolse a Napoli la mostra dei prodotti dell’industria del regno di Napoli, all’epoca l’Abruzzo faceva parte del regno e portò in esposizione una quantità considerevole di merletti. Vi parteciparono la Real Casa De Medici per gli Abruzzi, lo stabilimento delle scuole Pie di S. Paolo per l’istruzione delle alunne povere, le scuole Pie di S. Giuseppe per l’istruzione delle donne povere dell’Aquila, il conservatorio di S. Maria della Misericordia, il conservatorio della SS. Annunziata dell’Aquila.

Onore alle merlettaie di un tempo

Leone Anna

Anna viene citata nell’ “Annuario del Ministero dell'Educazione nazionale” del 1940 come maestra di laboratorio per trine e merletto presso la “Regia Scuola Professionale Femminile”, P.zza San Basilio. In quell’anno c’erano 51 alunne che frequentavano la scuola.

 

 

Maria Pasquetti

Maria, merlettaia per passione, ha insegnato anche alle giovani allieve nei piccoli paesi aquilani tra cui Fonte Cerreto.

 

https://www.youtube.com/watch?v=6uxcTmq9jvU&t=3s

Questo video di Antonio Giampaoli ricorda Maria Pasquetti mancata nel 2016.

 

 

Scuole, Associazioni, Musei

Museo e scuola del merletto  P.sso Palazzo Fanzago (Antico convento di clausura) P.zza Municipio  Pescocostanzo ( AQ) Tel. 0864-640003       

"Museo della Lana "di Scanno   Casa Comunale Via Calata S.Antonio   Scanno (Aquila)   tel. (IAT) 086474317

"Mostra annuale del Merletto e Ricamo" P.sso  Palazzo De Bernardinis  Canzano (Teramo)            La mostra si svolge nella prima quindicina di agosto

Mostra Regionale dell'artigianato artistico tradizionale L'Aquila           1-20 agosto

Mostra Artistica della Majella   P.sso Edificio Scolastico Via Cavalieri  

Guardiagrele (Chieti)  La mostra si svolge tutti gli anni dal 1 al 20 agosto, c'è anche un concorso a premi per ogni settore artistico.

            info@artigianatomajella.it                http://www.artigianatomajella.it/storia.htm   

 

Video

https://www.youtube.com/watch?v=id8p03daPPM

 

Ringraziamenti

Per la collaborazione si ringraziano i siti:

http://www.fondazionelions.org/sezioni/museo_costume.htm

http://www.scanno.org

www.isinet.it/abrunet/artigian/tombolo/tombolo.htm

http://www.abruzzoitalico.it/Paese.asp?ID=6&Paese=Scanno

www.lemanidoro.com

http://www.sposavip.it/paesaggi.htm

http://www.wildflowersewingstudio.com/lace.htm

http://www.scannonline.it/artigianato/tombolo/home.asp

http://www.lartedeltombolo.it/index.html

https://archive.org/details/emporium3334berguoft/emporium3334berguoft/mode/1up

https://archive.org/details/emporium21isti/page/388/mode/2up

 

*tratto da “Altipiani d'Abruzzo” di Agostinoni Emidio, 1912

^ tratto da “ Poliorama pittoresco”, 1836

#LEGGE REGIONALE N. 29 del 03 04 1990FONTE BOLLETTINO UFFICIALE REGIONALE 23 5 1990 N. 12

La foto del merletto per la regina Margherita è tratto da Exhibition of Abruzzese Art at Chieti, Modigliani, Ettore. The Connoisseur, Vol. 14 (1906)

« Guida della città dell'Aquila », Bonafede Matilde Oddo 1888

 

I testi  sono dell’autrice frutto di una lunga e laboriosa ricerca

E’ vietata qualsiasi forma di riproduzione, anche parziale, di questa e di tutte le pagine del sito.

 

Home page