“Le industrie femminili
italiane”
Il processo di
industrializzazione di lavori femminili, come il merletto, nella seconda metà
dell'Ottocento diede luogo ad un contrastante recupero della produzione
artigianale classica.
In una Italia appena
riunificata si sentiva il bisogno di recuperare le radici, le vecchie
tradizioni locali e i vecchi mestieri
Quasi sempre per iniziativa di
un patriziato femminile vengono fondate scuole professionali per l'
insegnamento e la trasmissione di antiche tecniche, ma anche per la formazione
e l'avviamento al lavoro di intere generazioni di giovani donne. Questo
avviene, ad esempio, a Burano (1872), a Idria (1876) a Fagagna (1892) mentre
altrove, a Cogne, in Valsesia, in Val Varaita, si ridà vita a centri di
produzione popolare. Si moltiplicano le mostre di promozione fino ad arrivare
nel 1903 alla consociazione delle Industrie Femminili Italiane.
Il 22
maggio 1903 a Roma, alcuni onorevoli, nobili e nobildonne costituirono una
cooperativa denominata “Le industrie femminili italiane” con lo scopo di
“promuovere e migliorare il lavoro femminile e la condizione economica delle
lavoratrici con un sano indirizzo artistico e industriale.”
Le intenzioni erano
quelle di creare "un vigoroso strumento di economia commerciale che
aprisse vie internazionali ai prodotti femminili italiani, educandole
pazientemente coi consigli dell'arte alle forme più elette, una grande casa
industriale capace di eliminare gl'intermediari che sfruttavano il timido
lavoro delle donne", Società Cooperativa Industrie Femminili Italiane,
Roma, s.e., 1906. Nelle Industrie Femminili Italiane nate nel 1903 a seguito
della grande esposizione di lavori femminili organizzata a Roma nel 1901, si
muovevano personaggi diversi, spesso attivi in diverse istituzioni e diversi
ambiti come scrive Beatrice Pisa: "la Bourbon del Monte che figura vice
segretaria della Protezione della giovane della sezione fiorentina nel 1906, è
fra le organizzatrici di un'esposizione di lavori femminili a Cutigliano;
Carolina Amari fonda alle porte di Firenze la scuola Traspaino di lavori ad ago
che smercia numerosi lavori a New York ove ha posto anche una succursale della
scuola a servizio delle emigrate. Maria Pasolini, animatrice del settore
culturale del CNDI, fondatrice di un catalogo a serie fissa ad uso femminile, è
fondatrice di una rinomata scuola di pizzo a Coccolia in Romagna e membro del
Comitato Centrale della Dante Alighieri.
L’articolo
è tratto da IL CONSIGLIO NAZIONALE DELLE DONNE ITALIANE di Fiorenza Taricone
e si trova nel sito
http://www.url.it/donnestoria/testi/accardidonne/actutconsiglionote.htm
Il sito Internet
della Fondazione Rosselli fornisce informazioni sull’attività di Amelia
Rosselli e la Società Cooperativa, Nell’archivio della fondazione tra le
lettere conservate riguardanti l’esposizione a Roma c’è il documento originale
della minuta della lettera del Comitato dell'Esposizione di arte e di lavori
femminili al ministro dei Lavori Pubblici ( datato 02-1902), con la richiesta
di esenzione dal dazio per eventuali invii di lavori all’estero.
Sull’attività
di Amalia si scrive:
Gennaio
1902:
Tra gennaio ed aprile Amelia Rosselli è impegnata a Roma, come
membro del comitato esecutivo, nella preparazione dell’Esposizione dei lavori
femminili.
22
Maggio 1903:
A seguito dell’interesse suscitato dalla
Esposizione dei lavori femminili del 1902, viene costituita a Roma la
cooperativa “Le industrie femminili italiane”. La società, a conduzione
unicamente femminile, è finalizzata a “promuovere e migliorare il lavoro
femminile e la condizione economica delle lavoratrici con un sano indirizzo
artistico e industriale”. Tra le socie figurano anche Amelia Rosselli e
Liliah Nathan. Il presidente è la contessa Cora di Brazzà che già aveva
presieduto all’allestimento dell’esposizione. |
Libri
.
AAVV. "LE INDUSTRIE FEMMINILI ITALIANE".
Milano, Rocco, s.d. [1906], L. 240 in-4, pp.
293, (2), leg. cartone orig. con sovracop. Con 55 tavv. al fine.
Rara
documentazione di una mostra che nessuno vide mai perché interamente distrutta
da un incendio. Le tavole raffigurano i manufatti quali ricami, merletti,
buratto, reti, coperte, cuscini, costumi di Burano, pianette, etc... di diverse
scuole femminili di tutta Italia: Burano, Venezia, Firenze, Friuli, Puglia,
Calabria,....
Crisalidi al
lavoro per l'emancipazione femminile
Un
libro di Claudia Gori sui percorsi intellettuali e politici delle donne tra
metà '800 e inizio del secolo breve.
Presentazione del
libro di Barbara Raggi( l’articolo è apparso sul manifesto il 23 ottobre 2003)
Spesso le
monografie storiche restano patrimonio dei pochi che coltivano quello
specifico interesse, senza riuscire a raggiungere la curiosità di un pubblico
più allargato e potenzialmente appassionato. E' un destino al quale c'è da
sperare che sfuggirà un libro uscito di recente da Franco Angeli con il
titolo Crisalidi, emancipazioniste liberali in età giolittiana, in cui
Claudia Gori ricostruisce biografie, percorsi intellettuali e politici delle
donne protagoniste dei movimenti di emancipazione femminile, tra la fine
dell'800 e l'inizio del secolo appena trascorso. Il percorso tracciato dalla
autrice è tutt'altro che facile, perché per raccontare la storia delle donne
occorre spogliare anche gli archivi privati, scorrere le corrispondenze, gli
articoli dei giornali a bassa diffusione, tenere sempre in mente la strada
stretta che unisce il pubblico al privato. In una Italia ancora provinciale,
in cui erano scarsi i legami internazionali, il Consiglio nazionale donne
italiane nasceva, anche ma non solo, per rappresentarle negli incontri
all'estero. Tuttavia, come sottolinea l'autrice, non bisogna pensare a questo
organismo come fosse una cellula di un movimento nato altrove, bensì come «il
tentativo di offrire una risposta alla situazione politica, sociale ed
economica dell'Italia». Sono donne provenienti da diverse appartenenze
culturali e politiche quelle che, attraverso gli interrogativi relativi alla
«questione femminile», hanno saputo lavorare insieme, mediare e intervenire
nei più diversi settori della vita pubblica, donne da ricordare per nome -
Maria Pasolini, Adele Del Bono, Dora Melegari, Paola Lombroso, Maria
Montessori, Teresa Labriola, Laura Orivieto e Amelia Rosselli - che hanno
intrecciato la propria vita a quella del movimento. Tra i nodi centrali della
loro riflessione ci sono stati il modello di produzione economica e l'analisi
del welfare: signore della buona borghesia quali erano, era stato facile per
loro individuare i limiti della beneficenza e cercare modelli alternativi.
Modelli non perfetti, intrisi in parte di paternalismo ma efficaci almeno per
un parziale miglioramento della condizione delle lavoratrici. Da questo punto
di vista, l'esperienza più interessante è senza dubbio quella delle Industrie
Femminili Italiane, fondate a Roma nel 1903, che riuniva un numero piuttosto
vasto di imprese, diffuse su tutto il territorio nazionale, create o
valorizzate dalle donne: tra queste, le Scuole cooperative di Brazzà per
merletti a fusello, l'Industria merletti di Burano. Spesso la forma era
cooperativa e il fine esplicito era di sottrarre le operaie alla precarietà
del lavoro di fabbrica dando loro altri saperi e strumenti. Lo sforzo per
cercare sbocchi esteri ai prodotti, la difficoltà di accreditarsi presso il
mondo industriale maschile hanno rappresentato non solo i limiti ma anche la
rivoluzione di un tale modello organizzativo. Ed è davvero singolare come
questa esperienza sia stata cancellata - o rimossa - dalla memoria
collettiva. L'ultimo capitolo della monografia di Claudia Gori è dedicato
alle posizioni del movimento nei confronti della prima guerra mondiale: la
adesione, non scontata, delle donne alle ragioni dell'intervento e la messa
in minoranza delle pacifiste sono un nodo che attraversa la politica
femminile di quegli anni. L'autrice scandaglia posizioni teoriche, prese di
parola pubbliche e private per darci conto dei percorsi che portarono alla
divisione del movimento. Troppo spesso si crede che le donne siano pacifiste
per natura, eppure i documenti dimostrano come si tratti di una convinzione
da rivedere, se si vuole procedere correttamente a una ricostruzione storica
delle organizzazioni femminili. «Lungi dall'essere sentita e vissuta come la
caduta, la frattura, il momento di disincanto rispetto a precedenti
prospettive (di pace, «progresso», emancipazione femminile), l'esperienza interventista
- scrive l'autrice del saggio - fu vissuta come un momento di massima
espressione e, in ultima analisi (il termine rimanda ai lineamenti culturali,
ai `nodi' cruciali di quegli anni) di `riscatto'.» Osservazioni non banali
per ricordare che l'identità femminile, come le altre del resto, sono il
frutto della storia e della cultura in cui si muovono. Uno degli indubbi
meriti di Crisalidi sta nel trattare l'oggetto della propria ricerca senza
tentazioni agiografiche, non tacendo i limiti e le incongruenze delle donne
che hanno lavorato per una prima emancipazione femminile. Tuttavia, di quella
storia lontana siamo tutti un po' figli, anche quando ignoriamo nomi e radici
del nostro pensiero. |
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